Ci
prendiamo la libertà di uscire di pochi metri dal seminato, ovvero dal comune di R.M., per riportare
una storia che merita di essere conosciuta:
Sidney Sonnino sepolto sul Romito
Il barone
Sidney Costantino Sonnino (Pisa, 11 marzo 1847 – Roma, 24
novembre 1922) è stato un politico italiano, presidente del
Consiglio dei ministri del Regno dall'8 febbraio al 29 maggio
1906 e dall'11 dicembre 1909 al 31 marzo 1910. Figlio di un
commerciante di origine ebraica e di una gallese, Sonnino, di
confessione anglicana, eredita il nome dal nonno materno, Sidney Tery.
Laureatosi in legge, a soli diciotto anni, nel 1865
all'università di Pisa, Sonnino pratica la professione per un
breve periodo prima di entrare nella carriera diplomatica e
trasferirsi, in successione, a Madrid, Vienna e Parigi. Lascerà
ben presto per dedicarsi a studi di natura economica in primis
sulle condizioni dell'agricoltura italiana. Nel 1880 nella XIV
legislatura è eletto deputato nel collegio di San Casciano in
Val di Pesa ed in parlamento appartiene all'ala conservatrice.
Nel 1893 è ministro delle Finanze e del Tesoro nel terzo Governo
Crispi. Sonnino nel governo persegue una politica di risanamento
dei conti anche con misure impopolari (aumento dei dazi sul
grano) e di rafforzamento della Banca d'Italia. Durante la crisi
di fine secolo, diede inoltre ordine di sparare sulle folle che
manifestavano. Tuttavia era un sostenitore del suffragio
universale. Negli anni successivi Sonnino si pone su posizioni
liberalconservatrici, ostili alla politica di più ampie aperture
di Giovanni Giolitti. Nel 1901 fonda, insieme ad Antonio
Salandra, un nuovo quotidiano a Roma: il Giornale d'Italia. Il
giornale è concepito per dare voce alla Destra storica, corrente
che in questo periodo si contrappone alla politica di Giovanni
Giolitti. Sonnino fu Presidente del Consiglio per brevi periodi:
nel 1906 per la prima volta, con una partecipazione dei radicali
al governo, e una seconda volta nel 1909. Sonnino è Ministro
degli Esteri nel governo Salandra nel 1914, egli partecipa
pertanto ai negoziati segreti che portarono alla partecipazione
dell'Italia alla I Guerra Mondiale, che sfoceranno nel Trattato
di Londra, che prometteva all'Italia una serie di ampliamenti
territoriali. Egli sarà pure presente sempre come Ministro degli
Esteri alla Conferenza di Parigi del 1919 che discusse i
trattati di pace. In tale veste egli si confrontò con il mancato
rispetto da parte di Inglesi e Francesi degli impegni assunti
con il trattato di Londra. Con la conseguente caduta del governo
di Vittorio Emanuele Orlando cessa la vita pubblica di Sonnino,
quantunque nel 1920 fosse stato nominato senatore. Si spegne
neanche un mese dopo la marcia su Roma.
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La costruzione del Castello risale alla fine dell'Ottocento,
quando il Barone Sidney Sonnino decise di installarvi la propria
residenza. L'area designata era occupata da un fortilizio
cinquecentesco, realizzato dai Medici sui resti di una
precedente fortificazione d'origine remota e facente parte del
un complesso sistema per la difesa della costa. I lavori
consistettero in un ampliamento ed una elevazione della
struttura preesistente, che un tempo, nota come Torre San
Salvatore, era costituita da una torre quadrata (il nucleo
originario) preceduta da uno spalto per il posizionamento
dell'artiglieria. Il maniero fu completato con l'aggiunta di una
cappella esterna (1895), ancor oggi esistente ed immersa nel
rigoglioso parco circostante. Sonnino, era fortemente legato
alla sua dimora livornese: uomo burbero e severo, era
affascinato dalla rude solitudine e bellezza di quel tratto di
costa, che poteva dominare, per ampi tratti, dall'alto del
Castello. Decise perfino di esservi sepolto e pertanto, alla sua
morte, la sua salma fu tumulata in una grotta della scogliera,
nei pressi dello stesso fortilizio come descritto sotto.
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All’ingresso del castello del Romito un gruppo di persone
attendono fino dalle prime ore l’arrivo del mesto convoglio
dalla stazione di Livorno. Notiamo fra costoro una schiera del
fascio di Quercianella, composta dai Signori: capitano Ing.
Giuseppe Bizzarrini, sottotenente dottor Vittorio Bonichi,
membri del direttorio e gli squadristi Bacci Bartoli Augusto,
Serravalle Ugo, il signor Giovanni Paolieri, genio benefico di
Quercianella, impareggiabile dilettante fotografo, armato della
sua potente macchina, il cav. Corsi, il capostazione sig.
Giovanni Stella, rappresentante della sezione liberale di Cecina
e vari colleghi della stampa. La rigida mattinata è addolcita
dai raggi di un sole magnifico che ravviva di colore i boschi,
le rocce e il mare. Mentre si attende, dall’Ing. Bizzarrini mi
viene comunicata copia del telegramma spedito dal Direttorio del
fascio alla famiglia del defunto. Esso dice: “Quercianellesi
tutti volgono sguardo dolente, pensiero mesto scoglio Romito.
Spirito grande statista, che predilesse Quercianella per suo
riposo vita e morte, aleggerà su noi, spronerà tutti compiere
ora e sempre proprio dovere - Direttorio del Fascio”. E
Quercianella questa vera perla del Tirreno, che ha legato il suo
nome a quello dell’illustre scomparso, sente intensamente tutto
il cordoglio per la fine di Colui che alle sue aure miti veniva
a ritemprarsi per affrontare nuove lotte, per affinare la mente
negli studi e nelle meditazioni profonde. Nel crocchio in attesa
si parla di Lui, di cui si attende la salma di momento in
momento: si scruta la strada serpeggiante sui monti per vedere
quando apparisca il mesto convoglio, si evocano ricordi,
aneddoti. Intanto giunge in automobile il Commissario di
Pubblica Sicurezza di Ardenza dottor Nardi che si unisce alla
comitiva.
Viene fra noi il custode del Castello, sig. Antonio Barbagelata,
bella figura di campagnolo, che da più di vent’anni era al
servizio del barone. Egli ci dice quanto lo scomparso fosse
buono, nella sua scontrosa riservatezza, il bene che faceva, la
bontà, l’affabilità che dimostrava verso coloro i quali avevano
l’onore di avvicinarlo. Parliamo con una gentile giovinetta,
Alda, figlia del Barbagelata, che il barone prediligeva. Essa ci
dice che solo diciotto giorni fa Egli era in questa sua
prediletta dimora, e ricorda la giovinetta di averlo veduto
sereno e tranquillo nella grotta ove egli aveva predisposto la
sua tomba, curare il macigno granitico e lustrarlo ed ungerlo
con vasellina. Vi era forse in quella serenità un presagio della
prossima fine?
Passano vari camions carichi di soldati del 7° reggimento
artiglieria da campagna che si recano ai tiri sui monti
circostanti; passano varie automobili dirette sulla via di Roma:
una si ferma al cancello della villa. Ne scende una dama vestita
di nero: è la principessa Borghese. Si apre il cancello; la dama
entra nel parco; si richiude il cancello.
Un lontano rumore di motori ci avverte che il convoglio si
approssima. Sono le 9. Lo vediamo spuntare dalla voltata di
Calafuria; si avvicina sempre di più; la squadra dei fascisti si
pone sull’attenti; i varii fotografi prendono posizione per far
scattare gli obiettivi delle loro macchine. Si apre ancora il
cancello della villa, ed il carro contenente la salma e le due
automobili che lo seguono entrano nel viale. I fascisti chiedono
al nipote dell’Estinto, barone di Montanara, il permesso di
poter eseguire essi stessi a spalla il trasporto della cassa
contenente la Salma fino alla grotta; il permesso viene
accordato e viene pure concesso ai rappresentanti della stampa e
al dottor Nardi di seguirli. Entriamo nei viali, sulla spiazzata
del carro viene tolta dai fascisti la cassa funebre sempre
ricoperta dal drappo tricolore e con questa in spalla si avviano
per il ripido sentiero che conduce alla grotta. Opera difficile
e faticosa per l’angustia dello spazio in discesa ed i numerosi
scalini. Ma i forti giovani disimpegnano l’onorifico incarico
con abilità e sicurezza.
Il mesto corteo giunge nella grotta seguito dai parenti, amici e
pubblicisti. Il coperchio che deve chiudere la rettangolare
semplicissima tomba granitica e che pesa parecchi quintali è
sostenuto in alto da forti corde e catene fissate ad una specie
di immenso cavalletto formato da tre grossi tronchi di pino. I
fascisti depongono a terra il feretro; viene sollevata la
bandiera tricolore ed apparisce la cassa esterna di noce lucido
con varii ornamenti.
Sulla parte superiore del coperchio un crocifisso d’ottone,
sulla posteriore una targhetta col nome dell’estinto, la data
della nascita e quella della morte. Ma nasce un dubbio: che il
vano scavato nel granito non riesce a contenere in lunghezza la
cassa. Si prendono le misure. Infatti la cassa è più lunga di
sette-otto centimetri. Come rimediare? Non c'è che assottigliare
il massiccio di granito, scalpellandolo internamente nelle due
pareti estreme.
Si dispone subito per la ricerca degli scalpellini e degli
arnesi; ma è una operazione che non può essere fatta
immediatamente e che, data la durezza del blocco, richiede del
tempo.
Bisogna dunque rinunziare a veder collocare nella tomba il
feretro e calarvi sopra la pesante lastra. L’operazione verrà
proseguita con comodo; ed intanto il feretro rimarrà nella
grotta, esposto ancora per qualche ora alla luce divina del
giorno, a quella pia delle stelle. Il tributo d’affetto dei
presenti si rinnova; si dà l’estremo saluto alla spoglia
gloriosa.
La principessa Borghese, affranta dal dolore, depone sulla cassa
un ramo di quercia: è un momento di indicibile commozione per
tutti. I fascisti riprendono la cassa in spalla e la collocano
in disparte nella grotta, in luogo riparato dalle intemperie, e
la salutano silenziosamente tre volte col gesto romano. Il
cannone degli artiglieri tuona in lontananza per le
esercitazioni; ma anche quel rombo sembra un saluto di gloria.
La cerimonia per oggi è terminata; la salma del barone Sonnino
sarà chiusa definitivamente nella sua monolitica tomba alla
presenza di pochi familiari. Il destino ch’Egli volle si compie
intero. Ma Egli vivrà ancora come uno dei grandi spiriti della
Patria: è stata la giovinezza italiana che l’ha trasportato fino
al luogo ch’Egli ha scelto per sua estrema dimora, in un limpido
mattino di Novembre, cui il sole dava tepori primaverili.
(“Il Telegrafo”, Lunedì 27 Nov. 1922) |
CASTEL SONNINO
di DINO DINI
Chi uscendo da Livorno, percorre la vecchia Aurelia verso sud
seguendo le tortuosità della strada, non può fare a meno di
lasciarsi attrarre dal fascino di quel tratto di costa che è un
susseguirsi di cale e calette, golfi e insenature, strapiombi di
scogli neri e verdi speroni di folta macchia mediterranea
protesi verso il mare. Il massimo dell'attrazione arriva quando
appare su quel verde promontorio che svetta sul mare azzurro
della Cala del Leone e che è chiamato Romito il massiccio
profilo del castello Sonnino costruito nel 1895 da quel grande
politico che fu Sidney Sonnino. Ma la storia di questo luogo
così caratteristico inizia qualche secolo prima ed è una storia
che vale la pena raccontare.
Il perché di un nome.
Cominciamo intanto a dire perché si chiama Romito. Nel 1494 tra
la fitta vegetazione di quell'alta penisola esisteva solo una
semplice capanna abitata da un misterioso eremita da cui il
luogo prese appunto il nome. Come scrive Angelica Palli nel suo
libro "Cenni sopra Livorno e i suoi contorni" del 1856, l'uomo
abitatore di quella rupe era in realtà il nobile Ernesto
D'Estrangues capitano al servizio di Carlo VIII re di Francia
durante la sua discesa in Italia. Re Carlo, liberata Pisa
dall'occupazione fiorentina, nel 1493 aveva nominato
D'Estrangues signore di Pisa e responsabile della truppa
francese che presidiava la città di Pisa, Firenze e le truppe
francesi. Qui il bel capitano s'innamorò della giovanissima
Gabriella Lante, la più leggiadra delle nobili fanciulle di
Pisa. Gabriella che fervidamente adorava la sua terra e odiava a
morte i fiorentini vedeva in D'Estrangues oltre che un amabile
uomo anche un eroe liberatore della sua città e quindi gli aveva
concesso le sue grazie. Nel 1494 Carlo VIII tradendo per ragioni
politico-strategiche le promesse fatte ai pisani, decise di
riconsegnare Pisa ai fiorentini e ordinò a D'Estrangues di
ritirarsi dalla Cittadella con i suoi soldati. Fu così che il
comandante francese ebbro d'amore per Gabriella disobbedì
all'ordine del suo re. Carlo VIII inviò una seconda volta i
messaggeri con l'intimazione al suo capitano di lasciare la
città, in caso contrario egli sarebbe stato dichiarato traditore
e disonorato per sempre.
La fuga nell’eremo chiamato poi Romito.
D'Estrangues allora, riflettendo sulla sua disperata
situazione e non volendo tradire l'amore per Gabriella, decise
di fuggire senza farne parola con alcuno e si rifugiò appunto in
quell'eremo che poi fu chiamato Romito. Dopo alcuni anni di
eremitaggio sentendosi vicino alla morte mandò a chiamare un
monaco agostiniano di San Jacopo in Acquaviva al quale chiese di
rintracciare la donna che era stata la sua amante per farle
sapere il luogo del suo nascondiglio e l'approssimarsi della sua
fine.
L’ultimo anelito di Ernesto D’Estrangues.
Gabriella Lante che dopo il ritorno dei fiorentini si era
rifugiata nel suo castello di Monte Massi, pochi giorni dopo lo
raggiunse appena in tempo per vedere spirare tra le sue braccia
l'uomo che per amore suo aveva affrontato il disonore. Si narra
che Gabriella morì un anno dopo nel giorno anniversario della
morte del suo Ernesto. Nei pressi della capanna in cui il
capitano francese aveva trascorso il suo eremitaggio, esistevano
i ruderi di un vecchio fortino di origine remota ed ignota. I
Medici nei primi anni del 1500 su quei resti costruirono un
nuovo fortilizio dotato di una torre in difesa della costa e nel
1634 al tempo del Granducato di Toscana l'edificio fu ancora
soggetto ad una ristrutturazione che comprendeva postazioni di
alloggio e ricovero per il corpo dei Cavalleggeri addetti alla
vigilanza costiera e al piano superiore una piazzola con cannoni
puntati verso il mare.
Quella lunga catena di difesa costiera.
Questa costruzione faceva parte di una catena di difesa che
includeva a nord Castel Boccale e la Torre di Calafuria, a sud
la Torre di San Martino a Quercianella (scomparsa), la Torre di
Castiglioncello, quella di Vada, quella di Capocavallo
(scomparsa) e il Forte di Bibbona. Alla fine del 1800 l'intera
area costiera che da Calafuria arriva fino al Romito diventò di
proprietà di Sidney Sonnino il quale trasformò quella fortezza
in un vero e proprio castello dotandolo di varie stanze e di un
ampio salone centrale dalle cui grandi finestre si può ammirare
un panorama straordinario. Il maniero che comprendeva la
preesistente torre, fu completato nel 1895 con l'aggiunta di una
cappella esterna immersa nel rigoglioso parco circostante.
La storia politica e umana di Sidney Sonnino.
Il barone Sidney Costantino Sonnino era nato a Pisa nel 1847 da
padre di origini ebraiche e da madre gallese. Fu ministro delle
Finanze e del Tesoro del Regno d'Italia dal 1893 al 1896. Era di
religione anglicana e liberal-conservatore esponente della
destra storica. Ricoprì la delicata carica di ministro degli
Esteri nel particolare momento storico che va dal 1914 al 1919.
Condusse le trattative che portarono alla firma del Patto di
Londra con cui l'Italia s'impegnava ad entrare nella prima
guerra mondiale e dopo la vittoria si batté con successo nel
rivendicare per l'Italia i territori promessi. A giusta ragione
fu considerato uno dei protagonisti più importanti della
vittoria sugli austriaci. Sonnino trascorreva lunghi periodi di
tempo nel suo castello sul Romito. Uomo burbero e severo era
così affascinato dalla rude bellezza e solitudine di quel tratto
di costa che decise di costruire la sua tomba in marmo dentro
una grande caverna di origine eolica che si apre a mezza costa a
picco sul mare sotto il castello. Morì a Roma alla fine di
novembre del 1922 e naturalmente il fascismo giunto al potere
nell'ottobre dello stesso anno non mancò di impadronirsi della
sua popolare immagine politica esaltandone le grandi qualità e
riservandogli un imponente funerale che si svolse con grande
partecipazione di folla.
La tomba nella roccia a picco sul mare.
La salma arrivata da Roma alla stazione di Livorno, venne
caricata su un autocarro della Misericordia e scortata da una
guardia d'onore composta da carabinieri, fascisti, nazionalisti
e guardie municipali. Con la presenza delle più alte autorità
romane, pisane e livornesi il corteo arrivò ai piedi del
castello. La bara fu trasportata a braccia lungo la impervia e
ripida discesa fino alla caverna dove da ventuno anni Sonnino
aveva costruito la sua ultima dimora. La bara era più lunga di
otto centimetri della tomba marmifera che doveva contenerla
tanto che si dovette provvedere a scalpellare il marmo
nell'interno delle pareti per potervela collocare.
L’acquisto da parte di un industriale
Alla fine degli anni '60 del secolo scorso tutta la proprietà
Sonnino fu acquistata dall'ingegner Sergio Pucciarini titolare
dello stabilimento Cosmos situato a Livorno in via della Padula,
a Salviano. La Cosmos era una fabbrica di minisommergibili che
venivano commercializzati in tutti gli stati del mondo.
L'ingegner Pucciarini nei primi anni '40, durante l'ultima
guerra, era stato al comando di una di quelle formazioni di
assaltatori subacquei della Decima Mas della Marina militare che
si erano distinti per le loro imprese nel Mediterraneo. La
squadra di Pucciarini a quel tempo si addestrava proprio nello
specchio d'acqua che da Chioma arriva sotto il castello Sonnino.
Pucciarini è scomparso nel 2010 all'età di novantuno anni.
Le visite guidate
Dal 2012 i suoi eredi hanno aperto il castello al pubblico con
visite guidate organizzate dalla Pro Loco di Quercianella alle
quali prende parte, specialmente durante l'estate, una folla di
turisti che giungono da tutte le parti d'Italia. Una particolare
emozione sui visitatori viene sempre suscitata dalla grotta dove
riposa Sidney Sonnino, affacciata com'è su quel mare aperto che
egli ammirò nella vita e scelse nella morte. 24/1/2016 Il
Tirreno. |