IL CRACKING A ROSIGNANO
A partire dagli anni
Sessanta, l’obiettivo Solvay fu di sviluppare la propria
attività nel settore delle materie plastiche, producendo sul
posto le materie prime che acquistava sul mercato o produceva in
piccole quantità con sistemi ormai superati. Precisamente:
1) l’acetilene, per la produzione di cloruro di vinile ed
ottenuta, fino ad allora, dal carburo di calcio fatto giungere a
Rosignano dalla Francia in contenitori di ferro via ferrovia e
strada;
2) l’etilene, necessario alla produzione di polietilene e
trasportato per ferrovia da Mantova in carri-bombola;
3) il metano, utilizzato per la produzione di clorometani e
fatto giungere dal modenese per mezzo di appositi
camion-bombola.
Nella prima metà degli anni Sessanta la società Montecatini
aveva messo a punto allo stadio pilota un crackinq acetilenico
che sembrò alla società belga ideale per produrre congiuntamente
le tre materie prime necessarie. Oltre a produrre tali materie
ad un costo competitivo, l'impianto Montecatini forniva anche
dei sottoprodotti utilizzabili negli stabilimenti di Rosignano,
ovvero gas residui in grande quantità e benzinoni, ottimi
combustibili per i generatori di vapore. Nonostante le notevoli
difficoltà tecniche incontrate nella messa a punto del processo,
la società belga fu l’unica in grado di far funzionare
industrialmente questo tipo di impianto avviandolo
definitivamente nel 1967. Tutti gli altri impianti di cracking
che la Montecatini aveva venduto in Russia, Svizzera ed USA,
infatti, non furono mai messi in marcia a causa dell’incapacità
di superare alcuni problemi tecnici (compreso quello della
stessa Montecatini).
Ben presto, tuttavia, il crackinq acetilenico messo in funzione
con tanta fatica dagli ingegneri della Solvay, si rivelò
antieconomico. Infatti, qualche anno dopo, fu scoperto ed
industrializzato un nuovo procedimento per la produzione del
cloruro di vinile che utilizzava l’etilene in luogo
dell’acetilene. Ciò determinò la perdita d’importanza
dell’acetilene, un tempo materia prima «nobile», mentre cresceva
quella dell’etilene, verso cui si stava sviluppando una forte
domanda di mercato. La disponibilità di etilene, del resto, era
assicurata dall’avvento di una nuova tecnologia di cracking (a
vapore), il cosiddetto steam-crackinq, che permetteva di
produrre grossi quantitativi di questa sostanza con costi molto
ridotti rispetto al precedente cracking acetilenico (a secco).
L’idea di realizzare un impianto di steam-crackinq a Rosignano
venne subito scartata dalla società belga. Le tecnologie di
steam—cracking, infatti, potevano essere realizzate solo in
dimensioni che erano assai superiori alle possibilità d’utilizzo
dello stesso polo chimico. La capacità produttiva di uno
steam-crackinq si aggirava allora intorno alle 300-500 mila
tonnellate all’anno di etilene, mentre il consumo che poteva
farne la Solvay era dell’ordine di 50-100 mila tonnellate
all’anno. Inoltre, un impianto di steam-crackinq avrebbe
richiesto, intorno a sé, la realizzazione di una rosa di
impianti sussidiari per lo sfruttamento dei sottoprodotti di
processo (propilene, butadiene, gas combustibile, ecc.), che
imponevano, a loro volta, ulteriori ingenti investimenti.
Tuttavia, la società belga era ormai decisa a fermare il
precedente crackinq, divenuto obsoleto ed inquinante e con una
capacità insufficiente a permettere qualsiasi sviluppo della
petrolchimica locale. Andava dunque cercata una soluzione che
avrebbe comportato il futuro arresto del crackinq a secco e di
tutte le produzioni ad esso collegate. Di conseguenza a
Rosignano potevano rimanere in marcia solo i reparti della
sodiera, dell’elettrolisi, dell’acqua ossigenata e del
perborato, con una riduzione dell’organico di 1.500-2.000 unità,
rispetto al totale di 3.500 dipendenti del 1971.
Gli studi per una soluzione alternativa al vecchio cracking
presero avvio nel 1971. Tuttavia, nessuna delle ipotesi presa in
considerazione poté trovare una concreta realizzazione. La
mancanza di condizioni favorevoli per l’approvvigionamento della
materia prima (la verqin nafta) a prezzo competitivo e il
ridimensionamento delle previsioni di sviluppo della domanda
internazionale di idrocarburi a seguito dello shock petrolifero
dei primi anni '70, fecero definitivamente cadere la possibilità
d’installare un nuovo impianto di steam-cracking nella zona.
La Solvay, ritenendo inderogabile fermare a breve termine il
proprio impianto di cracking, dovette ripiegare sull’unica
alternativa possibile ovvero acquistare l’etilene, trasportato
via mare allo stato liquido, dai poli di raffinazione che, a
seguito del «Piano di Chimica Nazionale», erano stati fatti
concentrare nel Mezzogiorno d’Italia. Fu allora che, nel 1979,
furono compiuti nei pressi degli stabilimenti di Rosignano due
passi molto importanti. Da una parte, venne inaugurato il nuovo
pontile di Vada che doveva servire come punto di attracco per le
etileniere; dall’altra, venne fermato l’impianto di cracking
acetilenico il 3 agosto alle 16,02.
Il nuovo pontile, faceva parte di un complesso industriale molto
più ampio, chiamato «Terminale di Vada», che comprendeva anche
gli impianti di stoccaggio dell’etilene. La necessità di
costruire un nuovo pontile derivava dall’impossibilità di
utilizzare quello costruito da Solvay subito dopo la prima
guerra mondiale, il «Vittorio Veneto». Questo ultimo era adibito
per lo più alla partenza di navi estere destinate a trasportare
soda caustica ed era assolutamente inadatto, data la scarsa
profondità dei propri fondali, all’attracco di navi di grosso
tonnellaggio. La costruzione del nuovo pontile prese avvio in
agosto 1977 e occorsero due anni per ultimarlo, dopo non poche
difficoltà incontrate sia nella fase di progettazione che in
quella di realizzazione. Al termine dei lavori, esso risultò
come il pontile più lungo d’Europa in mare aperto (ben 1.720
metri). Ancora oggi l’approvvigionamento dell’etilene avviene
per mezzo di navi che attraccano a questo pontile.
La decisione di costruire il «Terminale di Vada» rivestiva
un’importanza strategica in quanto dimostrava la volontà, da
parte della società belga, di consolidare la propria presenza
sul territorio di Rosignano aumentando la capacità di produzione
del polietilene e riservandosi in futuro la possibilità, qualora
le condizioni di mercato lo avessero permesso, di costruire
altri nuovi impianti per l’utilizzazione dell’etilene.
(Sintesi da: "Solvay in
val di Cecina" di B.Cheli e T.Luzzati)
Il piano chimico nazionale del
1971
Il 6/12/71 il CIPE approva il piano chimico
nazionale, che dovrebbe coordinare la realizzazione di nuovi
impianti competitivi e i loro rispettivi finanziamenti. In
Italia perdura il concetto di integrazione d'entità, cioè ogni
società produce la materia prima che utilizza nei propri
impianti. Le industrie hanno
perduto così, competitività
europea e questa sembra essere la ragione
della crisi del settore chimico
nazionale. Nel nord Europa, invece, diverse industrie hanno
realizzato dei centri petrolchimici,
integrati in senso orizzontale, di dimensioni ottimali,
riuscendo così ad ottenere dei prodotti competitivi sul mercato
mondiale. Il piano chimico nazionale, si prefigge di realizzare
anche in Italia gli stessi
impianti già sviluppatisi altrove, razionalizzando i centri
esistenti con il superamento delle loro sotto-dimensioni,
concentrando le nuove capacità produttive in modo da rendere
possibile il collegamento tra i vari
Steam-Cracking (impianti che permettono di trasformare la
benzina virgin-nafta in prodotti
più leggeri), rendendo l'etilene come una sorta di bene comune
da mettere a disposizione dei vari utilizzatori. Si pensa di
promuovere l'attuazione di tali principi attraverso particolari
agevolazioni fiscali e facilitazioni per gli investimenti. Da
parte della Solvay viene fatto
notare nel 1971, come esista una stretta interdipendenza dei vari
impianti produttivi, portando ad esempio una eventuale chiusura
del Cracking, che avrebbe avuto,
come conseguenza, l'arresto degli impianti di polietilene,
del cloruro di vinile, la
riduzione dei clorati, e delle sale
elettrolisi (cloro e soda caustica) e, infine, della
sodiera. In definitiva la Solvay
ritiene, che il fattore condizionante lo sviluppo di Rosignano
sia rappresentato dalla disponibilità di etilene a prezzo
competitivo. Nel '60 la Società si
era preoccupata di assicurarsi, ad un prezzo equo, le tre
materie prime che le mancavano nel campo petrolchimico:
A - l'acetilene per la produzione del cloruro di vinile;
B - l'etilene per la produzione del polietilene acquistato fino ad
allora dall'Edison di Mantova;
C - il metano per la produzione dei
clorometani, che veniva acquistato
dalla Sir.
L'istallazione di uno Stem-cracking
non avrebbe fornito l'acetilene, materia prima essenziale in
quel momento, ed avrebbe imposto la cessione di notevole
quantità di sottoprodotti, (benzine, propilene, butadiene). Per
questa ragione, nel '62, fu
adottata la già citata soluzione del «Cracking-Montecatini»,
i cui sottoprodotti sono completamente
utilizzati nello Stabilimento. L'impianto entra in funzione
nel '67 ed ha le seguenti capacità teoriche:
— acetilene 20 kt./anno;
— etilene 46 kt./anno;
— metano 10 kt./anno.
Ma poco dopo l'inizio del suo funzionamento viene scoperto e
industrializzato un nuovo procedimento per la produzione di
cloruro di vinile, che utilizza come materia prima l'etilene
anziché l'acetilene. L'acetilene
ha quindi perduto rapidamente la sua importanza ed anche il
Cracking installato dalla
Solvay sarebbe divenuto,
antieconomico. Per l'approvvigionamento di etilene l'azienda
prospetta tre possibili
soluzioni:
1) trasporto per nave e scarico
nel porto di Vada,
2) trasporto con pipeline che potrebbe essere realizzato un allacciamento
Ferrara-Rosignano di
circa 250
Km.
3) Montaggio di uno
steam-Cracking in Toscana.
La sua realizzazione verrebbe a
richiedere un investimento di
circa 45 miliardi. L'azienda,
preso atto delle indicazioni emerse dal Piano Chimico
Nazionale approvato dal CIPE
nel febbraio del '72
riaffermava la sua posizione per ciò che riguarda i punti
menzionati e, inoltre, condizionava
lo sviluppo dello stabilimento alla
situazione economica della società, (disponibilità di «liquidi»
per finanziare gli interventi a suo carico), ed alle favorevoli
capacità di assorbimento del mercato per i prodotti che si
rendessero disponibili con i nuovi impianti. E'
da segnalare che in una nota del nuovo presidente
della Solvay, Jacques Solvay, del maggio 1971, si dice fra
l'altro: "La Solvay intende produrre fibre con il polietilene ad
alta densità HDPE e questo occupa
un posto di primo piano nei programmi della Solvay, la quale ha
un esclusivo processo catalitico che riduce i costi di
produzione e permette un maggior controllo del prodotto finito".
La Società ha stabilimenti per HDPE in Italia e Francia e sta
aumentando la sua capacità di produzione ad 80 kt./anno a 120
kt./anno.
Il settore delle materie plastiche
è quello che ha registrato il maggior incremento nelle vendite,
passando dai 60 miliardi di lire nel
'62 ai 180 miliardi nel
'70): la
materia plastica più venduta è il cloruro di polivinile
PVC, di cui il gruppo ha in mano
circa il 15% della produzione europea e circa il 6%
della produzione mondiale. In totale l'Italia
e la Francia rappresentano circa il 32%
delle vendite della Solvay in
Europa (il 12%
è realizzato in Italia). La Solvay conta anche di aumentare la
propria capacità produttiva degli
alcali fino cinque milioni di tonnellate (incluso 1,35 milioni
di tonnellate di soda caustica).
(Vedi: "Rosignano
ed il Piano Chimico Nazionale" scaricabile dal sito)
Così fermammo il CK
Che il CK, così era denominato il reparto Cracking, dovesse
essere chiuso ormai era cosa notoria; l'impianto era obsoleto ed
i costi eccessivi. Non conosco la ragione per la quale fu scelto
il pomeriggio del 3 agosto. Fatto sta che toccò proprio alla mia
squadra che quel giorno faceva il turno 14-22.
La messa in sicurezza di
tutto l'impianto per la fermata definitiva, veniva così affidata
al turno C con Gino Barsotti Capo Turno e Alberto Orsini
assistente. Gino Barsotti aveva seguito la costruzione e la
messa in servizio dell'impianto fin dal 1963, anno in cui fu
assunto dalla Solvay prelevandolo specificatamente per
quell'incarico dalla raffineria della Shell di Rho (MI).
Il turno della mattina aveva
già ridotto la marcia e fermato un reattore (in marcia regolare
erano in due). Riducemmo ancora la marcia ed aspettammo. Poco dopo
le 15 iniziarono ad arrivare i più alti dirigenti: l'ing. Balducci, l'ing. De Gaudenzi, l'ing. Silva, l'ing. Sardano,
l'ing. Grillo, l'ing. Schreurs, direttore in carica. Vi erano
inoltre quasi tutti gli ingegneri che si erano occupati della
fabbricazione in quegli anni ed i responsabili dei vari servizi
quali laboratorio, officina, antincendio.
Mentre le varie personalità
pronunciavano brevi discorsi di circostanza, noi iniziammo la
fermata.
Fu ridotta al minimo la
marcia del reattore e fu escluso l'impianto Linde che con la sua
distillazione frazionata era l'ultima parte del CK.
Alle 16 tutto era pronto per
la fermata del reattore e di conseguenza di tutto l'impianto. Fu
deciso di usare il “pomodoro”, il grosso pulsante rosso per la
fermata rapida di emergenza dell'impianto presente sul quadro
comandi della grande sala controllo e che non era mai stato
usato. Fu chiesto all'ing. Balducci di premere il pulsante, ma
lui ritenne più giusto che fosse il Conduttore di Sala a
compiere quel gesto che avrebbe fatto parte della storia dello
stabilimento. Il Conduttore di turno, Claudio Lorenzini, molto
emozionato, mostrò qualche esitazione, fu così che il pulsante
fu premuto da Luciano Nassi, con mansioni di Prima Riserva e che
nell'occasione aiutava il collega Lorenzini.
Ho sempre nella mente gli
istanti successivi; il rumore delle apparecchiature che
rapidamente si affievoliva, subito rimpiazzato dal soffio degli
scarichi delle valvole di sicurezza. E poi, in pochi attimi il
silenzio.
Iniziammo subito le
operazioni di messa in sicurezza, con lo scarico di tutti i
fluidi verso i relativi serbatoi e i degasaggi dei vari
apparecchi. Un
lavoro lungo ed estenuante, perché doveva consentire alle
squadre di demolizione di intervenire senza che si verificassero
incidenti. Tubo per tubo, apparecchio per apparecchio vennero
presi in esame, bonificati e redatta una scheda con le modalità
dell'intervento di demolizione, debitamente firmata dal Capo
Turno. Un lavoro delicato e pericoloso visto che tanti
apparecchi erano incrostati da catrami ma dovevano essere
tagliati obbligatoriamente con la fiamma ossidrica. Tutte le operazioni durarono fino alla fine di
agosto. Toccò alla mia squadra anche
la chiusura fisica del reparto. Montammo in servizio alle 22 per
il turno di notte. Eravamo in 4: Carlo Toni ormai ex conduttore
di Sala-Linde, Paolo Mazzoncini già conduttore Etagere e
l'analista del laboratorio chimico Graziano Salvini, da tutti
meglio conosciuto come Mambo, oltre al sottoscritto,
operando sulla base delle indicazioni riportate sulle schede di
messa in sicurezza del Capo Turno Barsotti.
Concludemmo
le operazioni di sicurezza, anche se ormai era tutto pronto. Per
l' ultima volta guardai attraverso i mille tubi dell'impianto,
il sorgere del sole dietro le colline di Castellina. Dal buio
prima una luce blu, poi rossa che si trasforma in rosa per
diventare infine splendente come solo la luce del sole nascente
può essere. Quante volte l'avrò vista in questi 14 anni di CK?
Vallo a sapere!
Alle 5 feci un ultimo giro
di controllo, o forse di commiato; poi un brindisi a base di
caffè fatto con una moka apparsa all'improvviso. Infine arrivò
l'ora di stendere il “Rapporto di Turno“. Fu brevissimo:
Tutto OK.
Ad Majora.
ORSINI
Per la prima volta non
arrivò il cambio. Alle 6 chiusi l'ingresso degli uffici, poi il
grande cancello della recinzione lungo la strada e consegnai le
chiavi al Servizio Vigilanza. Era il 1° settembre '79, primo
giorno di ferie.
(Di Alberto Orsini per
gentile concessione. Grazie a Massimo Barsotti per alcune
precisazioni) |