Il Papa nella fabbrica Solvay

Alle 9.08 di venerdi 19 marzo il bianco elicottero dell'Aereonautica Militare con a bordo il Santo Padre, atterra al campo sportivo di Rosignano. Dopo il saluto del Sindaco Giuseppe Danesin, il Papa si intrattiene con le centinaia di persone là convenute, benedicendo la prima pietra dell’erigenda Chiesa di Santa Croce; quindi raggiunge lo stabilimento attraverso via della Repubblica, fra due ali di folla entusiasta. In Foresteria lo attendono i massimi dirigenti della Società, guidati da Jacques Solvay, il Presidente giunto da Bruxelles, nonchè nipote del fondatore della multinazionale. Con i giornalisti presenti Giovanni Paolo II rievocava la sua esperienza di lavoratore, i turni di otto ore di giorno e di notte, la fatica di trasportare le pietre. “Ero aiutante cavatore – precisava scherzosamente – perché non avevo la forza di sollevare da solo tutti quei pesi”

Dopo lo scambio di saluti con il Presidente della Società e l’incontro con i dirigenti, iniziava la visita ai reparti. Il Papa “venuto da lontano” non fa nulla per cercare schermi o protezioni: si concede per intero ai lavoratori e per farlo non esita ad infrangere più volte il cerimoniale. E' il suo atteggiamento tipico, ma stavolta sembra più che mai a suo agio. Lo aiuta forse il ricordo nitido dei suoi vent’anni: certi edifici dello stabilimento gli appaiono come la copia esatta di quelli dove lui aveva lavorato.

Con il bianco casco sul capo – dove è riprodotto lo stemma realizzato per l’occasione, un intreccio della mitria, del pastorale e dell’elmetto di sicurezza – Giovanni Paolo II si reca alla Sodiera, all’officina meccanica, al polietilene. La visita in fabbrica è prima di tutto un contatto con gli operai. Il Papa lo cerca e lo vuole”. Il Pontefice è visibilmente soddisfatto, interroga gli operai e i tecnici, si informa di ciò che più lo colpisce. Sono tante le battute e le frasi: “Come trasportate il calcare fino a qui ? Quello nostro era un trenino malandato”. “Ai tempi miei si frantumava la pietra con le mazze, un lavoro molto duro. Vedo che oggi è tutto meccanizzato”. “E il bicarbonato? Come fate per il bicarbonato? A Cracovia la produzione non andava molto bene”.

Terminato il giro nei reparti, inizia l’atteso incontro con il Consiglio di Fabbrica, nei consueti locali delle riunioni e delle assemblee. Il Papa siede dietro la lunga scrivania, con alle spalle le bandiere e i manifesti della FULC: dall’altra parte i delegati sindacali.

Il colloquio si apre con l’intervento di Giuseppe Basolu, che a nome dell’intero Consiglio di Fabbrica porge il più cordiale saluto al Pontefice, accogliendone la venuta “non solo come una visita di cortesia o come un messaggio di fede, ma anche e soprattutto come un contributo concreto all’affermarsi di una effettiva giustizia sociale ed al rispetto della dignità umana nel mondo del lavoro”... Basolu elenca poi i problemi economici e sociali che il Sindacato si trova di fronte, ribadendo l’impegno dei lavoratori Solvay per la difesa della salute e del posto di lavoro come presupposto essenziale di un effettivo affermarsi della dignità dell’uomo. A questa prima parte dell’incontro segue il dibattito vero e proprio. Nove delegati rivolgevano varie domande al Papa, come se si trattasse di una delle tante riunioni del Consiglio.

Il primo a prendere la parola era Pietro Simoncini, che per l’emozione si rivolgeva al Papa chiamandolo “Sua Maestà” anziché “Sua Santità”. Giovanni Paolo II non si scandalizza affatto ed anzi sorride divertito: l’atmosfera si fa così ancora più distesa. Simoncini parla della pericolosa natura delle lavorazioni a base di cloruro di vinile e del tasso di mortalità per cancro, a Rosignano più elevato della media nazionale.

Carlo Ferri pone al Papa l’interrogativo sui condizionamenti esercitati sull’uomo dalle istituzioni; ne risentono anche i sacerdoti, se la Chiesa impedisce loro di fare attività politico-sociale. Pierino Donati, sottolineando di condividere il messaggio del Papa sul primato dei valori umani nel mondo del lavoro, chiede cosa si può fare di fronte all’atteggiamento di durezza e chiusura dei datori di lavoro, impegnati a restringere le conquiste maturate negli ultimi anni. Sulla stessa linea Lorenzo Muti, che mette a confronto l’atteggiamento di chiusura dell’Azienda espresso in occasione dell’assemblea aperta del 5 maggio 1980 e la magnanimità dimostrata per l’incontro con il Santo Padre. Ugo Tarchi critica l’utilizzo dei mezzi pastorali per finalità politiche, portando ad esempio la recente distribuzione ai bambini delle scuole della zona di un’immagine della Madonna sul cui retro si formulano preghiere per la caduta del comunismo e la conversione della Russia. Emilio Giusti esprime il senso di umiliazione che prova come lavoratore, come cittadino e come padre di fronte alla triste realtà della disoccupazione giovanile, tema su cui invita Giovanni Paolo II a pronunciarsi. Vasco Landi si dice certo che il Papa è venuto per stare dalla parte dei più bisognosi e dei lavoratori. Giancarlo Bocelli chiede quali iniziative intende prendere la Chiesa nei confronti della fame nel mondo, mentre Cesare Branchetti ringrazia il Papa per il chiaro riconoscimento espresso nella Laborem exercens nei confronti del Sindacato e della sua azione storica per la crescita dell’uomo e del mondo del lavoro.

A queste domande, che alcuni osservatori definiranno “impietose”, il Papa non si sottrae. Ovviamente non risponde in maniera puntuale a quesiti che investono una rilevante serie di problemi, ma tracciano un quadro generale dal significato tanto semplice quanto elevato.

Questo colloquio straordinario finisce con un lunghissimo applauso e uno scambio di doni. Il Papa distribuisce medaglie-ricordo e riceve dai sindacalisti una copia in pergamena del manifesto del primo sciopero, quello del dicembre 1913.

Giovanni Paolo II si reca quindi sul grande piazzale e, dopo aver scoperto una targa affissa sulla parete di un capannone a ricordo della visita, ascolta dal palco allestito per l’occasione gli interventi dei rappresentanti dei diversi livelli del personale.

Il primo a parlare è il Direttore, ingegner Pietro De Gaudenzi, che ringrazia il Pontefice per aver più volte ribadito “l’obbligo morale di unire la laboriosità come virtù con l’ordine sociale del lavoro”; per parte sua la Solvay si è sempre sforzata di “adoperarsi per il giusto bene che corrisponde alle necessità e ai meriti di tutti gli uomini impegnati nel lavoro”. Segue il dottor Gianfranco Lazzari, in rappresentanza dei quadri “elemento di congiunzione fra la Direzione e le maestranze, due mondi complementari e con esigenze diversificate”.

E' poi la volta di Franco Tagliaferri, operaio, il quale esprime l’augurio che la visita del Pontefice non rimanga fine a se stessa, rivestendo invece continuità nel futuro perché il mondo del lavoro e la Chiesa hanno il dovere di recare un grande contributo al miglioramento della società. A portare il saluto delle lavoratrici impegnate in Solvay è Patrizia Villani, impiegata: ricorda le ingiustizie sociali cui sono sottoposte le donne, nei compiti familiari come sui luoghi di lavoro e conclude il suo intervento augurandosi che la visita del Pontefice possa far nascere in ognuno una domanda, un dubbio: Ho dato veramente agli altri quello che vorrei fosse dato a me? 

Al termine, fra due file di tute blu, il Papa raggiunge la mensa aziendale, dove insieme ai lavoratori consumava uno dei menu abituali: lasagne al forno, pesce con piselli, frutta. Gli siedono accanto Jacques Solvay e Laura Cervelli: il Presidente della multinazionale e la più giovane dipendente dello stabilimento.

E' la degna conclusione di una giornata indimenticabile, piccolo, grande momento di un pontificato straordinario.
(Da: "90 anni di movimento sindacale alla Solvay di Rosignano" di G.Paolini
scaricabile dalla sezione Scaricolibri del sito)

Rosignano Solvay oggi-Il Papa in fabbrica