DISCORSO DI S.S. GIOVANNI PAOLO II AI LAVORATORI
(versione integrale)
Carissimi Fratelli e Sorelle!
Eccomi finalmente fra voi in questo giorno, in cui la Chiesa
celebra la festa di San Giuseppe, esempio e protettore del mondo
del lavoro. Mi avete invitato: grazie! Ed eccomi ora qui per
testimoniarvi quanto interesse, quanta simpatia, quanto affetto
abbia la chiesa per voi lavoratori che, con la vostra quotidiana
fatica, offrite un indispensabile contributo al progresso
dell’umanità. Ritengo perciò particolarmente importante e
significativo questo incontro. Rinnovo il mio saluto al
Presidente della Società ed ai membri della Direzione Generale,
che mi hanno accolto con grande gentilezza al mio arrivo allo
Stabilimento; lo rinnovo pure ai membri del Consiglio di
Fabbrica ed ai Segretari dei Sindacati di categoria della zona,
che ho avuto il piacere di conoscere nell’incontro di poco fa,
al termine della visita al banco del vostro lavoro. Rivolgo poi
il mio saluto più caloroso a tutti voi, maestranze, operaie, ed
operai degli Stabilimenti Solvay, che avete voluto manifestarmi
la vostra sincera simpatia accogliendomi con spontanea ed
affettuosa cordialità. E penso ai lavoratori degli Stabilimenti
Solvay
delle altre zone, in particolare quelli della cava di San Carlo,
presso i quali non ho potuto recarmi di persona a motivo del
breve tempo a disposizione, ma che sono stati i primi ad
invitarmi. So che una loro numerosa rappresentanza ha voluto
essere qui presente. Sento il bisogno di esprimere loro il mio
apprezzamento per questo gesto affettuoso, ed insieme rivolgo
uno speciale saluto anche ai lavoratori di Ponte Ginori, che
pure sono con noi con una loro rappresentanza. Carissimi operai,
impiegati e dirigenti degli Stabilimenti Solvay, ho ascoltato
con grande attenzione gli indirizzi pronunciati dai portavoce
delle varie componenti del vostro complesso industriale. Ne ho
raccolto due chiari elementi: risultati e ansie. I risultati
sono stati da voi raggiunti mediante il concorde impegno, la
generosa dedizione e la ferma speranza, che vi hanno sorretto.
Ma avete altresì ansie per la difficile congiuntura economica e
per le ripercussioni che ne derivano sulla occupazione, sia
nell’immediato che in prospettiva; ansie per le tensioni che
agitano il Paese e per le esplosioni di violenza omicida; ansie,
infine, per le nubi minacciose che oscurano l’orizzonte
internazionale, a motivo della flagrante e spesso cruenta
violazione dei diritti umani, perpetrata in varie parti dell’uno
e dell’altro emisfero. Ho ascoltato ed ho apprezzato la matura
coscienza sociale, che in tali interventi si manifestava. Mi ha colpito,
in particolare, accanto alla franca denuncia di una società «che
rende l’uomo sempre più egoista, sempre più solo e sempre più
insoddisfatto», la volontà riaffermata di operare per la
costruzione di un mondo diverso, nel quale «al centro di tutto
non ci sia più il profitto e la sete di potere, ma l’uomo con le
sue esigenze di pace, di democrazia, di libertà». Mi compiaccio
con tutti voi, che avete saputo ben esprimere l’aspirazione, che
vi muove nel vostro impegno quotidiano, verso «un’effettiva
giustizia sociale ed il rispetto della dignità umana nel mondo
del lavoro».
Queste cose voi avete detto, quasi aprendo un dialogo con me, in
un incontro che non volete rimanga «fine a se stesso», ma che
desiderate abbia una sua continuità nel futuro, grazie anche al
contributo che dalle mie parole voi contate di trarre: sia per
perseguire con rinnovato slancio i risultati ottenuti, e le
speranze che li animano; sia per superare con animo forte le
ansie accennate.
Ebbene, io sono qui per corrispondere a questa vostra
aspettativa, sono qui per offrire, in adempimento del ministero
che mi è stato affidato, una risposta ai vostri interrogativi,
sono qui per farmi eco della voce della Chiesa, che condivide —
secondo le parole iniziali della Costituzione «Gaudium et Spes»,
del recente Concilio, — «le gioie e le speranze, le tristezze e
le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di
tutti coloro che soffrono» (Cost. past. Gaudium et spes, 1).
Nei vostri interventi avete fatto riferimento diverse volte alla
Enciclica Laborem exercens, mostrando di apprezzare le
riflessioni che in essa ho esposto. Ve ne sono grato. Come
sapete, con tale documento ho inteso ricordare il 90°
anniversario della Rerum novarum, la grande Enciclica di Leone
XIII, che ha aperto la serie dei pronunciamenti della Sede Apostolica nel tempo moderno sui vari aspetti della
questione
sociale, realizzando come un grande colloquio «itinerante» con
gli uomini delle generazioni via via emergenti.
La Laborem exercens è in piena continuità con tale costante
colloquio col mondo operaio. In essa ho riversato anche la
diretta esperienza che ho fatto di questo mondo che è il vostro
e che fu anche mio. Sono stato, infatti, uno di voi. Quanti
ricordi sono affiorati alla mia memoria, mentre, visitavo, poco
fa, alcuni reparti di questo vostro grande complesso industriale, mentre gustavo la gioia di stringere la mano a molti di
voi, di scambiare qualche impressione, di osservare da vicino
gli ambienti entro i quali si svolge la vostra quotidiana
fatica. Sono passato accanto al banco del vostro lavoro e mi è
tornato spontaneamente alla memoria il tempo in cui anch’io,
dopo aver lasciato, a Cracovia, le cave di pietra di Zakrzowek,
entrai a lavorare alla Solvay, in Borek Falecki, come addetto
alle caldaie.
Quante cose sono cambiate da allora! Ho ammirato l’alta
tecnologia, di cui oggi si avvale la Società Solvay, che ha
progressivamente affinato nel corso di questi anni i
procedimenti di lavorazione. Ho visto quanto s’è fatto per
migliorare le condizioni di vita di quanti a tali procedimenti
contribuiscono con la prestazione della loro opera. Altri passi
restano certamente da fare su questa strada. Sarà grazie
all’impegno di tutti che tali passi potranno essere compiuti.
Quel che qui desidero riaffermare è che mi sento solidale con
voi, perché mi sento partecipe dei vostri problemi, avendoli
condivisi personalmente. Considero una grazia del Signore,
l’essere stato operaio, perché questo mi ha dato la possibilità
di conoscere da vicino l’uomo del lavoro, del lavoro industriale, ma anche di ogni altro tipo di lavoro. Ho potuto
conoscere la concreta realtà della sua vita: un’esistenza
impregnata di profonda umanità, anche se non immune da
debolezze, una vita semplice, dura, difficile, degna di ogni
rispetto.
Quando lasciai la fabbrica per seguire la mia vocazione al
sacerdozio, ho portato con me l’esperienza insostituibile di
quel mondo e la profonda carica di umana amicizia e di vibrante
solidarietà dei miei compagni di lavoro, conservandole nel mio
spirito come una cosa preziosa.
Cari fratelli e sorelle! La Chiesa, in forza del suo mandato
divino, vi è vicina, sta dalla parte vostra, perché essa è a
fianco dell’uomo, di ogni uomo. La centralità e la dignità della
persona umana spingono il Papa ed i Vescovi a proclamare la loro
sollecitudine per il mondo del lavoro. La Chiesa ha molto da
dire all’uomo del lavoro: non nelle questioni tecniche, ma nelle
questioni fondamentali e nella difesa della dignità e dei
diritti dei lavoratori. Essa proclama che la dignità del lavoro
fa parte della dignità dell’uomo; e tutelando la dignità del
lavoro, essa sa di contribuire positivamente alla difesa della
giustizia sociale. E se non le sfuggo i «risultati», raggiunti
giusto motivo della vostra fierezza, essa conosce poi troppo
bene le «ansie » e i che essi costano.
Come operai del settore industriale, voi siete inseriti
nell’ingranaggio del lavoro moderno che la forza inventiva del
genio umano ha ingigantito. Allo stesso tempo, però, voi siete
esposti sia alle più entusiasmanti che alle più pericolose
conseguenze di tale processo, non soltanto sotto l’angolatura
economico-sociale, ma anche sotto quella etico-religiosa.
Lo sviluppo della tecnica ripropone oggi in modo nuovo il
problema del lavoro umano. La tecnica, infatti che è stata d è
coefficiente di progresso economico, può trasformarsi da alleata
in avversaria dell’uomo. Essa, infatti, si presenta
contrassegnata da una evidente ambivalenza: da un lato ha
alleggerito la fatica dell’uomo ed ha moltiplicato i beni
economici attraverso una produzione massiccia; dall’altro, però,
con la meccanizzazione dei processi produttivi essa tende di
fatto a spersonalizzare colui che «esercita il lavoro»,
togliendogli ogni soddisfazione ed ogni stimolo alla creatività
e alla responsabilità. Nell’attività industriale si incontrano in
effetti due realtà: l’uomo e la materia, la mano e la macchina,
le strutture imprenditoriali e la vita dell’operaio. Chi avrà la
preminenza? Diventerà la macchina un prolungamento della mente e
della mano creatrice dell’uomo, oppure questi soggiacerà ai
meccanismi impellenti dell’organizzazione, riducendosi ad agire
come un automa? La materia uscirà nobilitata dall’officina, e
l’uomo invece degradato? Non vale forse di più l’uomo che la
macchina ed i suoi prodotti? E' noto come l’era
tecnico-industriale abbia promosso innovazioni, profonde
trasformazioni radicali nella società. La presenza della
macchina nel mondo dell’impresa ha modificato non solo le
configurazioni tradizionali del lavoro, ma ha inciso
sostanzialmente sul genere di vita del lavoratore, sulla sua
psicologia, sulla sua mentalità, sulla sua coscienza e sulla
stessa cultura dei popoli, dando origine ad un nuovo tipo di
società. Con l’affermarsi, poi, della organizzazione scientifica
del lavoro e con le conseguenti catene di montaggio si è
accentuata maggiormente la situazione di alienazione dell’uomo e
la sua impossibilità di partecipare responsabilmente al lavoro
che esegue. In questi ultimi decenni, inoltre ha fatto il suo
ingresso nel campo dell’industria l’automazione, il cui
carattere innovativo, basato sulla elettronica e
sull’informatica, non sempre è pienamente a favore dell’uomo.
Nell’epoca moderna la consapevolezza che stanno acquistando gli
esseri umani, particolarmente i lavoratori e le lavoratrici,
circa la loro dignità va prendendo dimensioni universali. Tale
fenomeno è stato espresso sul terreno storico non solo mediante
la progressiva proclamazione e difesa dei diritti umani, ma
anche mediante il profondo desiderio di una più viva e più
concreta giustizia sociale.
Non è difficile rilevare come da ogni parte del nostro pianeta
salga oggi l’aspirazione ad una maggiore giustizia, in
connessione con le nuove
condizioni dell’economia e con le nuove possibilità della
tecnica, della produzione e della distribuzione dei beni. La
percezione ed il bisogno di tale giustizia si fanno sempre più
insistenti ed accorati nella coscienza umana, che se riconosce,
da una parte, i «risultati» conseguiti, soffre dall’altra con
maggiore acutezza per le «ansie» causate delle discriminazioni e
carenze, che possono ledere le legittime aspirazioni dei
lavoratori.
In effetti, la giustizia sociale, nella visione cristiana
costituisce la base, la virtù chiave e il valore fondamentale
della convivenza socio-politica. Essa dirige e regola le
relazioni ed i rapporti dei cittadini verso il bene comune, in
una ottica, quindi, non puramente contrattuale e individuale, ma
comunitaria. Come tale essa rappresenta un diritto fondamentale
di tutti gli uomini, conferito loro dal Creatore, e confermato
dal Messaggio evangelico.
Superando le rigide delimitazioni della giustizia commutativa,
la giustizia sociale cerca pertanto di subordinare le cose
all’uomo, i beni individuali al bene comune, il diritto di
proprietà al diritto alla vita, eliminando ogni condizione di
esistenza e di lavoro che sia indegna della persona umana.
Eccoci, allora, carissimi fratelli, e sorelle, al punto centrale
del problema a cui è dedicato il nostro odierno incontro.
Non mi stancherò di affermare che l’economia e le sue strutture
sono valide ed accettabili unicamente se sono umane, cioè fatte
dall’uomo e per l’uomo. E non possono essere tali, se minano la
dignità di quanti — operai e dirigenti — vi esplicano le loro
attività; se snervano sistematicamente in essi il senso della
responsabilità; se paralizzano in loro qualsiasi forma di
iniziativa personale; se, in breve, non possiedono un senso ed
una logica umana.
Desidero ora accennare ad alcuni elementi che considero
essenziali perché l’ordine sociale sia realmente ispirato alla
giustizia nei riguardi del lavoro umano.
In una società che vuole essere giusta ed umana, il profitto e
il lucro non possono prevalere sull’uomo: è assolutamente
necessario che l’uomo rimanga il soggetto dell’economia e delle
diverse strutture di produzione. Ho scritto nella «Redemptor
Hominis» l’uomo «non può rinunciare a se stesso né al posto che
gli spetta nel mondo visibile: non può diventare schiavo delle
cose, schiavo dei sistemi economici, schiavo della produzione,
schiavo dei suoi prodotti» (n. 16). Iddio lo ha creato perché
sia signore e non schiavo del lavoro.
In questa esigenza di giustizia si debbono collocare il diritto
al lavoro e gli altri diritti dei lavoratori.
Il lavoro costituisce infatti uno dei grandi e fondamentali
diritti inalienabili dell’uomo, perché gli dona vita serenità,
significato. Mediante i lavoro l’uomo diventa più pienamente uomo e
collaboratore di Dio nel perfezionamento della natura. E' da
auspicarsi che tale diritto rappresenti veramente una realtà
concreta per ogni cittadino, un diritto promosso e tutelato dalla
società.
Procurare lavoro o impiego non è compito facile; e tuttavia è
necessario affermare che in ciò sta un aspetto centrale ed un
impegno fondamentali dell’ordine politico ed economico.
Ho scritto della «Laborem Exercens» che la concreta verifica
della giustizia di tutto il sistema socio-economico e del suo
retto funzionamento rappresentata dal giusto salario. In
effetti il modo più consistente di realizzare la giustizia nei
rapporti di lavoro tra operaio ed imprenditore indipendentemente
dal tipo di sistema economico in cui l’attività si esplica,
è quello della giusta remunerazione. Mediante il salario viene
infatti generalmente aperta la via concreta di accesso ai beni
destinati all’uso comune. Adeguare il salario nelle sue molteplici
e complementari modalità così che si possa affermare che i
lavoratore partecipa realmente e equamente alla ricchezza, alla
cui creazione egli contribuisce in modo solidale sia nell’impresa
privata come nell’economia nazionale, è un postulato ed
un’esigenza di una economia sana al servizio di una effettiva
giustizia sociale.
L’attuazione delle proposte avanzate in campo cattolico al fine
di fare in modo che l’operaio possa considerarsi comproprietario
del grande banco del lavoro è un elemento base di quella
verifica, a cui ho sopra accennato: non soltanto affinché l’uomo
del lavoro trovi pieno appagamento nella sua aspirazione alla
giusta remunerazione, ma anche e soprattutto perché sia
salvaguardata la giustizia in tutte le strutture del processo
economico (cfr. Laborem exercens, n. 14).
Desidero ancora attirare la vostra attenzione su un altro
aspetto essenziale della giustizia sociale: e cioè la libertà di
associazione, per cui dev’essere riconosciuta ai lavoratori la
possibilità effettiva di partecipare liberamente ed attivamente
all’elaborazione e al controllo delle decisioni che li
riguardano, a tutti i livelli. L’esperienza storica dimostra —
come ho già affermato in altre occasioni — che tali associazioni
o sindacati sono un elemento indispensabile della vita sociale,
specialmente nelle moderne società industrializzate. Sorti per
difendere i giusti diritti degli operai nei confronti dei
proprietari dei mezzi di produzione, i sindacati,
particolarmente quelli del settore industriale, sono cresciuti
sulla base della lotta. Tuttavia, nei loro atteggiamenti di
opposizione sociale, essi devono dare essenziale risalto ai
valori positivi che li animano, al desiderio del giusto bene,
nel contesto del bene comune, alla sete di giustizia sociale,
non mai alla lotta «contro» gli altri, perché la prima
caratteristica del lavoro è quella di essere «per», di unire gli uomini; e qui vi è la grande forza sociale. E appunto attraverso
l’unione e la solidarietà che i sindacati hanno potuto tutelare
gli interessi degli operai ottenendo un salario giusto,
condizioni di lavoro dignitose, sicurezza per il lavoratore e la
sua famiglia.
I pubblici poteri, chiamati a servire il bene comune, debbono
considerare pertanto loro compito proteggere nell’ambito statale
queste associazioni attraverso leggi sagge; da parte loro i
sindacati devono tenere sempre adeguatamente conto delle
limitazioni che la situazione economica concreta generale può, a
volte, richiedere, nel quadro del bene comune dell’intera Nazione.
Voi tutti, cari fratelli e sorelle, siete giustamente desiderosi
che nei vostri cantieri, nelle, vostre fabbriche, regni la giustizia quale dimensione
fondamentale delle vostre attività lavorative. Non è
così? Ciò vi fa onore, ma certo non basta! Dal mondo del vostro
lavoro deve anche scaturire la soluzione per realizzare la giustizia sociale:
sono necessari sempre nuovi movimenti solidarietà tra gli
uomini del lavoro e con gli uomini lavoro per creare l’unione dei
cuori, una unione costruttiva, sincera, animata dalla formazione
morale e da spirito di responsabilità.
«L’esperienza del passato e del nostro tempo dimostra che la
giustizia da sola non basta e che, anzi, può condurre alla
negazione e all’annientamento di se stessa, se non si consente a
quella forza più profonda, che è l’amore, di plasmare la vita
umana nelle sue varie dimensioni...Tale affermazione non
svaluta la giustizia e non attenua il significato dell’ordine
che su di essa si instaura: ma indica solamente la necessità di
attingere alle forze dello spirito, ancor più profonde, che
condizionano l’ordine stesso della giustizia» («Dives in
misericordia», n. 12).
Voi sapete, infatti, che l’amore cristiano anima la giustizia,
la ispira, la scopre, la perfeziona, la rende fattibile, la
rispetta, la eleva, la supera; ma non la esclude, non la
assorbisce, non la sostituisce, anzi la presuppone e la esige
perché non esiste vero amore, carità senza giustizia, Non è
forse la giustizia la misura minima della carità? Ho ascoltato
attentamente la lavoratrice che ha parlato all’inizio di questo
incontro: ebbene, essa ha bene sottolineato la necessità di
cercare nel l’amore l’ispirazione per un impegno sociale più
pieno. Ritengo importante questa intuizione. Se infatti la
giustizia sociale dona una fisionomia umana all’impresa, la
carità le infonde lo slancio vitale della vera solidarietà.
Carissimi fratelli e sorelle! Nutro fiducia che questo odierno
incontro consolidi in ognuno di voi la sincera adesione al
Vangelo del lavoro, proclamato da Colui che, essendo il Figlio
di Dio fatto uomo, volle appartenere al mondo del lavoro manuale
presso il banco del carpentiere Giuseppe, sposo di Maria
Santissima.
Gesù guarda con amore il nostro lavoro, le sue diverse
manifestazioni, vedendo in ognuna di esse un riverbero della
somiglianza dell’uomo con Dio Creatore. Il lavoro è voluto e
benedetto da Dio: porta con sé non più il peso di una condanna,
ma la nobiltà di una missione, quella di rendere l’uomo
protagonista con Dio nella costruzione dell’umana convivenza e
del dinamismo che riflette il mistero dell’Onnipotente.
Al vostro lavoro guarda la Chiesa, la quale cerca, insieme con
tutti gli uomini di buona volontà di convalidare i «risultati»
ottenuti, e di trovare la risposta alle «ansie» che si agitano
nel vostro animo. La fede cristiana possiede l’arcano potere di
dare un’anima al lavoro, di conferirgli serenità, pace, forza,
razionalità facendone cos’ì un momento di crescita umana non
solo personale, familiare, comunitaria, ma anche religiosa.
E adesso consentitemi di rivolgermi a tutti voi che partecipate
a questo incontro, a tutti ed a ciascuno in particolare. Così
facendo penso, al tempo stesso, alle vostre famiglie, ai vostri
bambini, ai vostri figli, alle vostre spose, alle vostre mamme,
ai vostri ammalati, a tutti i vostri cari: so quale posto essi
hanno nel vostro cuore, so quale grande valore essi
rappresentano per voi. Per essi voi trovate nella fatica e nel
lavoro di ogni giorno la piena espressione e la misura spontanea
del vostro amore.
Amate le vostre famiglie! Ve lo ripeto: amatele! Siatene le
guide gioiose, la luce sicura, i vigili tutori contro i germi
della disgregazione morale e sociale, che purtroppo conducono
inesorabilmente alla decomposizione tanti nuclei familiari.
Aprite le vostre famiglie ai valori sociali, alle esigenze dello
spirito! La vita familiare deve essere esperienza di comunione e
di partecipazione. Lungi dal rinchiudersi in se stessa la
famiglia è chiamata ad aprirsi all’ambito sociale per divenire
mossa dal senso della giustizia, dalla sollecitazione verso gli
altri e dal dovere della propria responsabilità verso la società
intera — strumento di umanizzazione e di personalizzazione,
servizio al prossimo nelle multiformi espressioni di fraterno
aiuto, difesa e tutela cosciente dei propri diritti e doveri.
Aprite le vostre famiglie a Cristo e alla sua Chiesa! Non a caso
la famiglia cristiana è stata definita «Chiesa domestica»,
«piccola Chiesa». Tra i suoi compiti, fondamentale vi è pure
quello ecclesiale di testimoniare il Cristo al mondo: «essa,
cioè, è posta al servizio dell’edificazione del Regno di Dio
nella storia, mediante la partecipazione alla vita e alla missione della Chiesa» (Familiaris consortio, n. 49) ed è chiamata
a diventare ogni giorno più una comunità credente ed
evangelizzante superando la tentazione di vivete pavidamente la
propria fede nell’intimità delle pareti domestiche.
Mantenete viva e costante la vostra sensibilità per il rispetto
della giustizia sociale nel mondo del lavoro, alimentandola e sostenendola con l’amore che è «il vincolo
della perfezione» (Col. 3,14). Regni sempre nelle vostre fabbriche,
nei vostri posti di lavoro, la serenità della modesta officina
di Nazareth, la serenità che proviene dalla coscienza di avere
compiuto quotidianamente il proprio dovere, la serenità che
rende il lavoro umano fattore di crescita e gli dà la dimensione
di vocazione feconda. La Chiesa è vivamente sensibile al valore
dell’ambiente «fabbrica», il luogo nel quale si realizza la vita
del lavoratore, — la vostra vita! — ma dove anche dovete portare
la fede ad incidere in modo costruttivo; farla diventare
operante.
Il Signore è qui con noi; non solo adesso; Egli è sempre con voi
al banco del vostro lavoro, per donare a tutti la forza
rigeneratrice del suo Vangelo, della sua grazia e del suo amore.
Non ignorateLo mai! Non emarginateLo mai!
Abbiate sempre, come meta della vostra attività, quella di
costruire un mondo più umano, più fraterno, più cristiano; la
volontà di creare forme più perfette di unione, di solidarietà,
di socialità secondo le esigenze dei tempi; l’ideale di crescere
in umanità, maturando ogni giorno di più nella giustizia e
nell’amore.
Per questo, tutti vi benedico! Tutti vi porto nel cuore,
lavoratrici e lavoratori della Solvay! E pregherò sempre per
voi, per le vostre famiglie, per il vostro lavoro, ricordando
sempre con commozione questo giorno bellissimo! San Giuseppe vi
protegga, la Ma donna vi aiuti; Cristo vi conservi nella sua
grazia!
E sia lodato Gesù Cristo. |