Oberdan Chiesa - biografia |
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Chiesa nasce a Livorno l’11 settembre 1911 da una famiglia di umili lavoratori, ma nella quale già forti e radicate, sono le convinzioni di patriottismo, di libertà e di riscatto. Si chiama Garibaldi il padre di Oberdan e lo stesso nome di Oberdan rievoca l’eroismo del patriota triestino impiccato dagli austriaci: una specie di filo rosso lega le diverse generazioni dei Chiesa dal Risorgimento alla Resistenza. Oberdan Chiesa fa prestissimo la conoscenza con il mondo del lavoro; come tanti suoi coetanei appena adolescente è manovale. Appartiene a quella categoria di operai tra i più sfruttati e poveri, sottoposti ad ogni intemperia e allo stillicidio degli infortuni. L’appartenenza alla categoria degli umili, degli operai, degli sfruttati da parte di un padronato avido e gretto, diventa presto in lui chiara coscienza di classe. La sua adesione al P.C.I. nei difficilissimi anni trenta lo immette nel movimento clandestino livornese del Gigli, dei Frangioni, degli Jacoponi, di Ilio Barontini. Ben presto la sua attività politica viene individuata dall’Ovra. Ricercato dalla polizia quale attivo antifascista deve riparare all’estero. Come risulta da un verbale del Tribunale Speciale, Oberdan Chiesa, in quanto comunista schedato, espatria clandestinamente in Algeria nel settembre del 33, si trasferisce successivamente a Marsiglia, ad Aiaccio e Grenoble, ove svolge continuamente attività antifascista in collegamento con i centri esteri del P.C.I. E' tra i primi ad accorrere in difesa della Spagna repubblicana minacciata nelle sue libertà democratiche dal dittatore Franco e dagli alleati nazifascisti. E' nella centuria “Gastone Sozzi” con Longo, poi nel Battaglione Garibaldi, nelle Brigate Internazionali, rivestendo l’incarico di commissario politico. A “Casa del Campo” nella strenua difesa di Madrid viene ferito. Ha anche incarichi presso il governo di Largo Caballero e prende parte alla lotta repubblicana. Alla caduta della repubblica spagnola finisce, come molti altri garibaldini di Spagna, rinchiuso nel campo francese di Angeles sur Mer. Passa poi al famigerato campo di Vernet, per essere successivamente ceduto dal governo francese a quello italiano che lo confina a Ventotene. Le autorità italiane legalizzano il trasferimento dal campo di concentramento francese a Ventotene, con la sentenza del Tribunale Speciale del 17 novembre 1941. Il Tribunale Speciale contesta a Chiesa la sua attività antifascista e considerato che egli non porterà mai nessuna giustificazione “se non quella di aver combattuto in favore dei rossi spagnoli e per l’affermazione del principio comunista che...é quello più idoneo a difendere i diritti degli operai”, lo condanna a 5 anni di confino di polizia. La vicenda di Oberdan Chiesa ha i tratti di quelle che lasciano il segno e non finisce con la sua morte. L’attentato compiuto a Rosignano Solvay da gappisti della 3a Brigata Garibaldi contro il Maresciallo Maggiore dei carabinieri Cesare Nannipieri, ritenuto colpevole di collaborazionismo con i tedeschi ed un carabiniere, che rimane gravemente ferito e muore dopo alcuni giorni, fa scattare la rappresaglia fascista che condurrà all’uccisione del livornese Chiesa. Al momento del fatto di Rosignano, Chiesa si trova detenuto presso il carcere Don Bosco di Pisa; è stato infatti arrestato il 22 dicembre 1943, a seguito delle disposizioni impartite dal governo di Salò dirette a “fermare i sovversivi” che il governo Badoglio aveva liberato dal carcere e dal confino. Le disposizioni delle autorità fasciste livornesi sono di arrestare i sovversivi che, particolarmente all’Ardenza, danno segni di presenza attiva ed é all’Ardenza che la Squadra Politica individua Chiesa mentre sta parlando con i suoi compagni Jacoponi e Biagini. I tre vengono invitati a favorire alla vicina caserma dei carabinieri, ma dopo pochi metri Chiesa riesce a darsi alla fuga in bicicletta. Le grida delle guardie della “politica” richiamano l'attenzione di alcuni carabinieri, in servizio di pattugliamento, i quali riescono a bloccare Chiesa. Nella confusione, vengono sparati anche dei colpi in aria, Biagini riesce a sfuggire all’arresto. Poco dopo, alla caserma in cui i due sono stati condotti, si presenta il cognato di Jacoponi, Faini per protestare dell’ingiustificato arresto del familiare; ma anch’egli viene arrestato in quanto anarchico segnalato. Tutti e tre vengono poi tradotti alle carceri di Pisa. Avuto notizia dell’attentato di Rosignano, la sera stessa del 28 gennaio 1944, il capo della provincia Facduelle improvvisa un Tribunale Straordinario al quale prendono parte altri dirigenti fascisti livornesi, tra cui il questore ed il federale. La vendetta fascista viene decisa: due tra i sovversivi livornesi detenuti a Pisa, devono essere uccisi a Rosignano per rappresaglia. Nelle ore seguenti, forse impressionati dall’ atrocità dell’ azione stessa che stanno per compiere, viene deciso di limitare la ritorsione ad una sola persona: la scelta cade su Chiesa, un nome tra i più noti negli ambienti dell’antifascismo livornese. Nella notte tra il 28 e il 29 gennaio, Chiesa viene prelevato dalle carceri di Pisa e, dopo essergli stata comunicata la sentenza di morte che lo riguardava, viene condotto in auto a Livorno. In città, all’auto si aggiunse un camion con a bordo una cassa mortuaria e sul quale salgono poi sei camice nere della 8°a legione della milizia; chiude il lugubre convoglio una seconda auto con a bordo il capo della Provincia, il federale e il comandante della milizia cittadina. All’Ardenza salgono sul camion sei carabinieri. I tre mezzi arrivarono a Rosignano percorrendo l’Aurelia e si fermano in un punto isolato, circondato da arboscelli di lillatro, a poche decine di metri dal mare e nei pressi delle strutture del Dopolavoro Canottieri che la Soc. Solvay riserva ai dipendenti. Sono le sei e mezzo del mattino. Subito dopo, proveniente da Piombino arriva un’altra macchina dalla quale scendono due fascisti chiamati a partecipare all’esecuzione (uno di costoro è il segretario del fascio di Quercianella). Viene composto il plotone di esecuzione e il Chiesa viene fatto sedere venti metri più avanti, su di una sedia e con la faccia rivolta allo stesso plotone. Dopo essersi preoccupato di dare la disposizione che tutti debbono sparare, il graduato che comanda il plotone di esecuzione, composto di sei camice nere e sei carabinieri, ordina di caricare le armi. A quel punto però, l’esecuzione viene sospesa, un carabiniere raggiunge il condannato facendogli cambiare posizione. Dopo che Chiesa viene messo a cavalcioni sulla sedia e con le spalle rivolte al plotone, questo spara. Il condannato si abbatte per terra. L’ufficiale raggiunge allora il morto, tirandogli all’orecchio il colpo di pistola regolamentare. Assiste alla fucilazione anche un medico che prestava servizio come capo manipolo della milizia presso l’Ospedale di Livorno, il quale constata la morte di Chiesa e un cappellano della DICAT. Questi, il Canonico della Cattedrale di Livorno, don Silvio Cinquini, testimoniò più tardi sul comportamento del Chiesa nei suoi momenti estremi. Alla ulteriore offerta da parte del sacerdote di almeno una benedizione, l’eroico Resistente livornese ricusò rispondendo molto gentilmente “rispetto la sua fede e quella di tutti, ma desidero che siano rispettate le mie idee e la mia fede”. Chiesa aveva solo 33 anni. In pochi minuti il gruppo che ha assistito all’esecuzione si scioglie; il camion, dopo avere trasportato la salma al cimitero di Rosignano, riprende la strada per Livorno. In quelle stesse ore le locandine del Telegrafo che era già stato stampato nella nottata, annunciarono della rappresaglia fascista compiuta a Rosignano.
La morte di
Oberdan Chiesa, così come é stato possibile ricostruire dalla stampa
pubblicata all’epoca del processo ai responsabili e da testimonianze
raccolte in varie epoche, rivelano una volta di più di quali crudeltà e
nefandezze è stato capace il fascismo e quale fierezza ha dimostrato chi al
fascismo si oppose anche a prezzo della vita. E quella di Oberdan
Chiesa non fu fierezza di un solo giorno, bensì di una intera giovinezza
dedicata alla lotta praticata quotidianamente per i propri ideali, per i
diritti dei più deboli, per la libertà. Nel 1946/1947, il processo ai
responsabili del suo assassinio, per lo più latitanti, diventò un nuovo
momento di lotta, una città intera si mobilitò contro chi lavorava per
insabbiare e rinviare, contro chi voleva che il processo non fosse
celebrato a Livorno perché accusata di avere assunto “Oberdan Chiesa
come emblema politico”. |