UN VERO
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Hanno costituito la più importante scuola artistica italiana dell'Ottocento.
Nella seconda metà del secolo si riunivano a Firenze abitualmente al caffè
Michelangelo, per le loro discussioni, dando vita ad un movimento che si
proponeva il rinnovamento della pittura storico-romantica. Tra le componenti che
caratterizzano il movimento c'è la preoccupazione di fissare l'immagine in macchie
di colore, mettendo in rapporto la figura da ritrarre con lo sfondo vero, un
muro bianco, il cielo, altri oggetti, ricostruendo il rapporto di colori puri.
Dipingere en plein air, a contatto con la natura è un'altra delle
parole d'ordine, insieme ad un tipo di rappresentazione della realtà volta a
sottolineare gli aspetti quotidiani ed autentici della vita, in opposizione alla
retorica accademica ed enfatica delle pittura di genere. La cosiddetta
rivoluzione della macchia ebbe inizio nel 1855 quando, Francesco Saverio
Altamura e Serafino de Tivoli, di ritorno da visita all'Esposizione Universale
di Parigi, fecero conoscere al gruppo di giovani artisti del caffè Michelangelo
le novità dell'arte francese contemporanea. Agli ideali dei Macchiaioli (così
definiti in un articolo denigratorio comparso sulla "Gazzetta del
Popolo" il 3-11-1862) aderirono: Giovanni
Fattori - Silvestro Lega
- Giuseppe Abbati -Telemaco
Signorini - Odoardo Borrani - Giovanni Boldini - Vincenzo Cabianca - Raffaello Sernesi. Affermatosi
definitivamente all'Esposizione Nazionale di Firenze del 1865, intorno agli anni
settanta il movimento si andò esaurendo, dopo aver inutilmente tentato di
superare i confini regionali per diventare il nuovo linguaggio figurativo
dell'Italia del Risorgimento.
Le
tappe dal caffè Michelangelo a Castiglioncello: Storia di un
“vagabondaggio” artistico
FUGA
DALLA CITTA’ ALLA RICERCA DELLA LUCE
II
ritrovo fiorentino fu la culla del movimento: oggi non esiste più. E nella
villa del collezionista Demidoff si respirava aria internazionale. In periferia,
la Piagentina fu un rifugio bucolico in cui i pittori ritrovavano i costumi
semplici di un tempo. Polle estati nella casa di Martelli con la scoperta di
vasti scenari, tra pascoli e mare. In una delle più belle strade di Firenze,
chiamata ora via Cavour e allora via Larga, c’era il caffè Michelangelo.
Componevasi di due stanze, una delle quali decorata dagli artisti che frequentavano
il caffè, e in quella stanza si ritrovavano a discutere, perché riunioni
fissate non ne facevano mai. Tutto avveniva spontaneo e all'improvviso, il più
delle volte una grave discussione aveva origine da una parola grossa. A un
tavolino vedevasi quattro o cinque che discutevano sul serio, a un altro sette o
otto si sbellicavano dalle rise. Era un corbellare fine e reciproco, ora gli
entusiasmi quarantottini del Lega, ora il pizzo di Ca' Bianca, la bazza del
Fattori, la bocca del Signorini, gli occhialuti del Rivolta e il nasone di Nino
Costa. Così il pittore Adriano Cecconi descrive il primo nido degli artisti
macchiaioli, una nobile stirpe divisa, nel costume e nelle idee, tra il rispetto
degli ideali della ristretta. società in cui. vivono, e l'anelito al nuovo.
Divisi tra il sogno di una fruttuosa benedizione dei potenti, con tanto di
valzer e quadriglia, e la voglia matta di una fuga.
Tra
il 1855 e il 1862, quando questo Caffè affrescato chiama davanti ai suoi
modesti bicchieri, i protagonisti scanzonati (ma non troppo) di una nuova pittura,
finisce il Gran Ducato e nasce lo Stato unitario. Finisce l'autorità indiscussa
degli accademici e degli aristocratici, la soggezione paralizzante verso i protagonisti
della Storia più classica e ufficiale, quella dei Carlo Magno e delle Marie
Stuarde: finisce insomma anche in pittura il Romanticismo. Certo questi pittori
che si assiepano nel bel caffè oggi, ormai, stupidamente distrutto, non hanno
parole d'ordine rivoluzionarie. Vestono e si muovono in accordo con le regole
della società dei frac e dei cravattoni, della ostentata modestia delle signore
in gonna lunga e vita stretta, dei possibili committenti benestanti, che le
villeggiature le fanno, al massimo, a Fiesole e Settignano, e la poesia del mare
non osano conoscerla. Eppure a Firenze arrivano, per vivere bene, tanti ricchi
stranieri, principi o scrittori: i russi Demidoff, per esempio, che si
circondano di artisti nella villa di Pratolino. Qui i pittori più fortunati si
«ubriacano» di arte internazionale.
Non
solo l'Europa e l'Italia stanno cambiando. Anche Firenze: regime, bandiera,
economia, disegno urbanistico. Stanno cadendo le mura dell'ultima cerchia, si
aprono i lungarni e i viali audaci che abbracceranno anche la collina appartata
ed entro pochi anni l'intero centro antico sarà distrutto, offrendo piazze e
vie nuove. Arrivano a Firenze pittori come Degas, scrittori come Henry James,
collezionisti come Herbert Home, si sentono notizie dei preraffaelliti inglesi
e soprattutto dei grandi artisti francesi.
Tra
i frequentatori del Caffè Michelangelo ci sono diversi patrioti, combattenti
della primavera dei popoli, come De Tivoli, Ussi, Borrani, Mussini, Lega,
Altamura. Poi Domenico Morelli torna da Parigi e si discute di quella pittura. I
frequentatori del Michelangelo, i più classici, Banchi, Fattori, Ciseri, Ussi e
soprattutto il vivace Telemaco Signorini, sentono che possono smettere di
piegare la grande bravura a scene come La cacciata del duca d'Atene. Se
proprio storia deve essere sia quella attuale, con le battaglie contro gli
austriaci, come quelle dipinte con grande fatica da Fattori, ossia cronaca
addirittura, come il carcere di Porto Ferraio, di Signorini. Ecco, questo ambiente di prima rivolta, di prima liberazione dalle regole romantiche, fu il Caffè ma poi venne Piagentina, il vero commovente nido dei Macchiaioli, che cambiano vita come cambiano le regole del dipingere. Si caccia via l'accademia, via la «firenzina» ossequiosa, si scappa a dipingere e perfino a vivere inimmaginabili ristrettezze, in una zona fuori Porta alla Croce, dove il torrente Africo si butta nelle verdi acque dell'Arno. Non è il posto più bello del mondo, ma è fresco, onesto: il villaggio ideale. Ci sono contadini, lavandaie, piccoli greggi. La «campagna umida e modesta — scriverà Signorini — lascia appena scorgere Fiesole o San Miniato». E una fuga, una liberazione? Silvestro Lega, gran pittore, è il primo a trasferirsi tra gli ortolani per una storia d'amore con una figlia della famiglia Batelli, colti e modesti artigiani che hanno una villetta affacciata a quel lastrico che oggi non esiste più, trasformato in un canale sotterraneo. In effetti, a parte la scomparsa del lastrico e l'invasione della grande viabilità, si fa fatica a immaginare il poetico richiamo di questa Piagentina dove trovarono ispirazione artisti che varrebbe la pena di studiare sempre più, come Sernesi, Abbati, Lega, Borrani, Martelli e lo stesso Signorini. Altro che le miserie dei pittori parigini, evocate dai «bicchieri colmi d'acqua» della Bohème. Qui, dietro a quel Lega si affollano, poverissimi di soldi e ricchi di bravura, anche i Cecconi, i Borrani, i Checcucci. I Macchiaioli e Piagentina sono ormai sinonimo.
La
«Macchia» avrà poi un suo diverso centro, un felice sbocco sul mare cui
parteciperà lanciatissimo anche Fattori. Ma quegli irreversibili orticelli,
quelle spalle voltate alla Capitale restano un vero simbolo: i Macchiaioli
derisi non amati dai benpensanti per molto tempo, che non apprezzano la teoria
della Macchia e la scelta dei temi: «Arte racchiusa tra cipolle, cavoli,
ciuchi, villancornuti, senza gusto, senza poesia», critica duro Carlo Lorenzini
(vero nome di Collodi), autore di Pinocchio. Invece il futuro riserva gloria e
giorni felici ai Macchiaioli. All'orizzonte si profila la meravigliosa avventura
della Macchia di Castiglioncello, che assume il senso, in prospettiva, di una
fuga liberatoria dalle ristrettezze morali e materiali della periferia
fiorentina. Nel 1861 il grande amico degli artisti Diego Martelli eredita una
tenuta a sud di Livorno, verso l'affascinante golfo quasi deserto, con un
pascolo di mandrie, e invita gli amici a passare l'estate con lui. Quasi tutta
Piagentina, meno Lega che non si staccherà dal suo Arno, fa il suo bravo
soggiorno là, e scopre mare, radure, luce fantastica delle albe e dei tramonti
sulla costa. Il geniale Diego voleva vedere sulla tela le macchie di sole, i
colori intensi, le ombre nette di questa terra appena scoperta. Il primo a
dargli tutto questo sarà Signorini, con I pascoli a Castiglioncello, ma è
l'arrivo travolgente di Giovanni Fattori, qualche anno dopo, a rendere felice
l'intuizione di Diego. Il Ritratto di Martelli del 1867 porta l'odore, il fascino
della pineta dei Macchiaioli. Wanda Lattes da Corriere-Eventi del 27/9/2003 |
Macchiaioli in posa goliardica. Da sinistra seduti: Serafino de Tivoli, Saverio Altamura, Silvestro Lega, Ferdinando Bonamici. Da sinistra in piedi: Giuseppe Bianchi, ignoto, Cristiano Banti, Odoardo Borrani. (Collezione A. Gonnelli) (VAI ALLE OPERE DEI PITTORI DAL MENU DI NAVIGAZIONE A SINISTRA: MACCHIAIOLI) |
Nella
sezione Scaricolibri (6) del sito, puoi
trovare i seguenti documenti
relativi ai Macchiaioli:
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