Mulino di Pane e Vino o della Villa
L’edificio del mulino, ubicato sull’argine sinistro del Sanguigna ai
piedi del poggio dove si trova l’antico casolare di Pane e Vino, si
raggiunge attraverso la strada poderale che dal Gabbro, passando per la
località “La Villa” (o Villa Nardi), scende al torrente.
Era questo il mulino della tenuta di “Borgo Fiorito” o “La Villa” che,
insieme al vicino podere di “Pane e Vino”, costituiva un importante
complesso agricolo prospiciente alla strada Maremmana. Le fonti
documentarie non consentono di risalire con precisione alle origini di
questo impianto. (Allo stato attuale delle ricerche, anche se non
possiamo affermano con certezza, sembra di poter individuare in questo
mulino quello costruito nel 1513 da Battista di Cristofano). Solo a
partire dal sec. XVII, quando la Misericordia di Pisa cominciò ad
allivellare la predetta tenuta, il mulino venne menzionato negli Estimi.
Matteo Lazzerini da Crespina, agli inizi del Seicento, ne fu uno dei
primi livellari, seguito (1645) da Giò Maria di Cesari Monteverdi di
Livorno. Nel secolo successivo (1760), la tenuta ed il mulino
risultavano ancora segnati alle poste della Misericordia di Pisa con
Niccolò Contarini di Livorno livellario. In quegli anni, tuttavia, come
risulta da una visita effettuata nel novembre 1762 da Niccolaio Stassi
per conto della Misericordia, il mulino non funzionava e l’edificio
presentava un pessimo stato di conservazione (“Non è stato
tralasciato ancora di vedersi il Mulino detto della Villa, quale ha
tenuto in affitto il sig. Tordoli; questo mulino presentemente è in
pessimo stato perché la stanza del medesimo rovina, essendo aperta nelle
muraglie in più luoghi, il ritrecine non vi è quasi che niente, il
bottaccio è tutto ripieno, la gora è franata la maggior parte, che a
volerlo ridurre macinante vi vuole grossa spesa, e questa deteriorazione
è seguita la maggior parte nel tempo che è stato serrato, vertente
liti”). Il 13 marzo 1776 tutto il capo
di beni ritornava (per linea
finita con Mattia Contarini figlio di Niccolò) alla Pia Casa e da questa
nuovamente allivellato ad un certo Francesco Stefanini di Ambrogio, che
pagava un canone di 60 scudi all’anno. Alla fine del sec. XVIII, il
mulino, “ad un ritrecine con suo gorile, steccaia e casa per il
mugnaio posto in l.d. la Villa o Borgo Fiorito”, veniva registrato
agli eredi di Francesco Stefanini che, molto probabilmente, avevano
provveduto ad affrancarlo dalla Misericordia e a ristrutturarlo.
Alla rilevazione catastale del 1823 l’opificio era intestato a Camilla
Stefanini, figlia di Francesco e moglie di quel Giovanni Nardi che,
ancora alla fine dell’Ottocento, avrebbe dato nome al "Podere del Mulino
Nardi". Per oltre mezzo secolo non abbiamo più notizie di questo
impianto e dal momento che il Catasto Fabbricati del 1876 non lo riporta
più come “opificio”, abbiamo ragione di credere che l’edificio fosse
usato al solo scopo abitativo, come risulterebbe dalla registrazione
dello Stato delle Anime del Gabbro (1877). Nel 1936, alla vigilia delle
operazioni di formazione del N.C.T., l’immobile era censito come “Casa
per uso agrario” intestata a Michele Micheli. L’edificio del mulino, nel
suo insieme, presenta corpi di fabbrica aggiunti in periodi diversi,
ancora oggi è interessato da lavori di restauro ad opera del nuovo
proprietario. Dell’antico impianto di origine sono leggibili il muro
perimetrale di contenimento del bottaccio (realizzato con grosse pietre
rotondeggianti sicuramente prelevate dall’alveo del vicino torrente) ed
il carcerario, con volta a botte in laterizi. Resti di un forno si
rinvengono nello spazio compreso fra la gora e la camera della ruota,
sopra il condotto della doccia. Nell’interno dell’edificio, in una
parete aggiunta, sono murate due macine in pietra verrucana. A circa 250
metri, a monte della casa, sugli argini del torrente si rivengono i
resti della pescaia murata che forniva l’acqua al lungo aldio. (Da: "Antichi mulini del
territorio livornese" di R. Branchetti e M. Taddei). |