Gabbro ieri
                      Contadino, toro e pagliai (Arch. Biagini)

               L'evoluzione del lavoro nel '900
Il lavoro nei primi anni del '900 era prevalentemente agricolo, esercitato da contadini e piccoli possidenti. I contadini facevano capo alle rispettive fattorie; tra queste ricordiamo la fattoria Mirabella, quella in località Poggiopiano e quelle più piccole, come numero di agricoltori, delle Ceretelle e della Villa. Il lavoro si svolgeva tutto a mezzadria e i prodotti venivano portati alle fattorie e poi suddivisi. I campi venivano lavorati dagli stessi contadini e possidenti con attrezzi di vario genere: zappe, aratri trainati da buoi e più tardi da qualche trattore. Il raccolto era ed è tuttora, costituito da grano, orzo, granoturco, fieno, olive, uva, ecc. Caratteristica era la vendemmia; l'uva raccolta veniva portata in appositi recipienti e pigiata da persone a piedi scalzi o con il « pigio», ramo di albero appositamente conservato per questo uso, dopodiché gettata nei tini o nelle apposite botti per la fermentazione. Nel mese di settembre la raccolta dell'uva costituiva un lavoro stagionale per le donne, le quali raccoglievano e pulivano i bei grappoli che poi venivano posti in ceste ed avviati nei vari mercati italiani ed esteri. Bella era anche la mietitura del grano eseguita a mano con la falce, da mattina a sera, o con la segatrice trainata da buoi o dal trattore. Al termine del lavoro la massaia, cioè al calar del sole, usava portare, in un grosso paniere, la cena che veniva consumata all'aperto con grande appetito. Il grano veniva poi portato nell'aia dove era eretta coi covoni la "barca" e, successivamente, si effettuava la trebbiatura in mezzo ad un gran polverone. La trebbiatrice veniva azionata dal cosiddetto vaporetto (macchina a vapore) attraverso una lunga cinghia di trasmissione. Il vaporetto funzionava, in un primo tempo a legna, dopo a carbone. Col passare del tempo fu sostituito dal trattore, il cui combustibile era petrolio agricolo. Oggi invece sia la mietitura e tutte le conseguenti operazioni, vengono effettuate simultaneamente nei campi da macchine tecnicamente avanzate e che richiedono poca mano d'opera e minor perdita di tempo. Altre persone, donne, ragazzi e disoccupati, si recavano nei campi dove era stato segato il grano, a «spigolare», cioè a raccogliere le spighe che erano state lasciate nel campo, inavvertitamente dalle raccoglitrici. Chi aveva spigolato, una volta tornato a casa, in un piazzale, batteva le spighe con due bastoni snodati chiamati «correggiati » e dopo averle spulate al vento portava i chicchi di grano, puliti, al mulino per macinarli. Altri operai trovavano lavoro, se pur saltuariamente, a tagliare boschi, a portare legna coi muli o lungo le strade a spaccare pietre necessarie per rifare il fondo stradale, e alla « Magnesite» nel versante a mare tra Nibbiaia e Castiglioncello, dove venivano estratti materiali refrattari. Le donne, oltre a collaborare con gli uomini in molti lavori, accudivano alle faccende di casa e facevano il pane che cuocevano nei forni scaldati a legna. Il lavoro rendeva poco e la miseria regnava ovunque, imponendo grossi sacrifici anche nell'alimentazione che era più che frugale a base di fagioli, patate, polenta, aringhe, erbe di campo, ecc. La carne, il coniglio o il pollo venivano, in genere, mangiati nei giorni di gran festa. Per alcuni la situazione migliorò un poco quando un certo numero di operai fu assunto a lavorare presso la fornace Serredi, presso lo stabilimento Solvay e in alcune fabbriche di materiale bellico a Livorno. Dal 1935 al 1944 la situazione, anche a causa della guerra, restò stazionaria. Nel 1945 il lavoro riprese intensamente ovunque. Gli americani, giunti nelle nostre zone durante la seconda guerra mondiale, fecero di Livorno, per il suo porto, un centro base di installazioni militari. Riattivarono le fabbriche distrutte dai bombardamenti e installarono numerosi magazzini dando lavoro a migliaia di operai. Molti venivano prelevati al mattino con camion militari anche dal Gabbro e portati in questi centri di lavoro e la sera riportati alle loro case. percorrendo in un primo tempo, la via di Valle Benedetta, perchè la via della Popogna era impraticabile per i danni provocati dai tedeschi, i quali, prima della ritirata, avevano fatto saltare tutti i ponti. Il notevole contributo di lavoro dei gabbrigiani per la ricostruzione e per la ripresa economica della città di Livorno e la loro voglia di lavorare in ogni settore, hanno fatto sì che oggi abbiano raggiunto, in genere, un meritato benessere economico. Per questo, fra gli impresari edili e loro lavoratori, vanno menzionati i Sigg. Geom. Mario Barzacchi, Libero Trusendi, Rag. Ivo Ferretti, Ing. Ivanio Castagni, Monastero Gori, Marino Malanima, Alfonsino Piancastelli e Alessandro Giusti e vanno ricordate le Cooperative Edili L'Aquila, Sirena, Rondine e Verriga, tutti residenti al Gabbro. Dopo il 1945 molti giovani agricoltori lasciarono i lavori dei campi per andare a lavorare nelle industrie e l'esodo fu così intenso che molte famiglie di agricoltori cessarono di esistere come tali e molti poderi furono abbandonati. Oggi questi campi vengono lavorati a conduzione diretta. Anche la fattoria di Poggiopiano cessò il suo ruolo perchè fu acquistata dalla Compagnia Portuale di Livorno e trasformata in ente sociale agricolo, passando ad una prevalente produzione di vini. Nei gabbrigiani  l'emigrazione all'estero per lavoro ha sempre trovato poco riscontro; emigrarono in Argentina con le famiglie Vasco Spinelli che, dopo molti anni di permanenza in quella nazione, tornarono al loro paese; Otello Pozzi emigrò in USA e sempre in USA emigrò Massino Massini che seguì le figlie che avevano sposato due americani.
Da:"Il mio paese Gabbro" di Jacopo Cadore Quochi 1979, scaricabile dal sito 

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