Gabbro: il cimitero racconta...

In questa pagina è riportata una panoramica delle lapidi più significative dal 1856 al 1918 presenti nel cimitero e delle epigrafi che molto dettagliatamente descrivono le qualità del defunto e l'evento che ne ha provocato la morte. Una sorta di cronaca epigrafica per i posteri, una banca dati storica, diremmo oggi, che rende il cimitero prezioso custode del vissuto di una comunità. Il vecchio camposanto del Gabbro, inaugurato il 5 agosto 1787, fu costruito a poca distanza dalla chiesa di S.Michele, in località «Poggetti» in fondo a via del Popolo. Il cimitero, già esumato dai resti umani, fu venduto l'11 settembre 1926 alla locale sezione fascista per costruirvi la sede per le adunanze, ricavandone £ 500. Il nuovo cimitero sulla via di Popogna, sorge nel punto in cui le carte ottocentesche mostrano una cappella ed è situato a circa un chilometro dal paese lungo la strada per Livorno. Non si sa con precisione quando fu costruito. L'unico riferimento è la data su una lapide di marmo che si trova sulla parete sinistra della cappella, che è il giorno della morte di un certo Gervasio Spinelli: «1 ottobre 1856»

            Adunanza 9 marzo 1922 - Cimitero di Gabbro - Epigrafi scorrette e muro pericolante.  
Il Consigliere Spinelli osserva che le epigrafe esistenti sono redatte senza regole e sintassi e con diciture che offendono la memoria degli stessi defunti. Fa presente poi che un muro del recinto pericola e dovrebbe farsi una visita periodica a tutti gli immobili di proprietà comunale per provvedere a tempo restauri. Il Presidente spiega che il Gabbro è stato aggregato a questo Comune da circa dieci anni e che non essendovi l'uso non sono state presentate tutte le epigrafi al visto dell'ufficio. Appena venuto a conoscenza di questa irregolarità ha scritto al Custode del Cimitero imponendogli tale formalità, che del resto nelle altre frazioni è scrupolosamente osservata.
In quanto al muro è da osservare che le sue condizioni erano ben conosciute e che nel restauro recentemente fatto il cimitero di Gabbro non è stato toccato perché non costituisce un pericolo imminente. Le visite si fanno, si conoscono i bisogni, ma le Finanze impediscono sempre i restauri.

GERVASIO SPINELLI
visse 56 anni
nell'amore di Dio e del prossimo
e mori il 27 ottobre 1856
TERESA moglie
GIUSEPPE FRANCESCO
PIETRO COSTANTINO
e ENRICHETTA figli
fecero affettuosi
questa memoria

(Risulta essere la sepoltura più antica ndr)
 
ottobre 1856
A LEONIDA SPINELLI
figliuola sposa e madre
pia ed esemplarissima
vissuta anni XXXII
trapassò di questa vita
XVIII giugno
MDCCCLXX
lasciando due teneri figli
FRANCESCO SPINELLI
desolato marito
P.O.M.
 
giugno 1870
Qui giace la salma
del compianto GERVASIO GRASSI
d'ingegno potente e di mano abilissimo
nelle varie arti cui si accinse
Non fu ostacolo che non superasse
in lui rifulsero le più elette virtù
e fu caro a quanti lo conobbero
Munito dei conforti
di nostra augusta e s. Religione
spirò l'ultimo anelito
nel bacio del signore
La desolata consorte e i figli inconsolabili
ne piangono la irreparabile perdita
avvenuta il XXII aprile MDCCCXCIV
cinquantesimonono dell'età sua
Una prece per lui
aprile 1894 Caduti nella Grande Guerra
Leggi la bella pagina "L'anima segreta del Carso"
gentilmente offerta dal dott. Marco Martinolli
presidente del CLub Alpino Italiano di Monfalcone
Sul monte S. Maria
il 30 dicembre 1915
ALFONSO TADDEI
ventiquattrenne
per la difesa delle frontiere
immolava la vita.
La moglie i genitori
ad esempio del piccolo figlio
ALCIBIADE
questo ricordo posero
 
dicembre 1915
A ricordare
che nella grande guerra
di redenzione
colpito da piombo nemico
soccombeva
il 10 ottobre 1915
TEI NARCISO
appena ventunenne
xxxxxxxxx

 

ottobre 1915
ELETTO CECCHERINI
Nato il 1° novembre 1889
fu ucciso a Plava
il 18 novembre 1915
combattendo da eroe
nella quarta guerra
 
novembre 1915
A
GORI ARGANTE
ventunenne
caporale magg. 223° fanteria
decorato Medaglia d'Argento
I genitori
Con slancio e coraggio
sempre in testa
al plotone che comandava
lo guidò
con perizia all'assalto
Gravemente ferito
continuò ad eccitare i suoi soldati
a persistere nella lotta
e ad avanzare
Gorizia 12 agosto 1916
 
agosto 1916
OLIVIERO MALANIMA
che
il 29 maggio 1917
baldo fante ventenne
eroicamente dette
per la grandezza d'Italia
la vita
Qui al paese nativo
i genitori
vollero la salma
per consolarla
di pianto
 
maggio 1917
TRUSENDI GINO
soldato del 4° regg. fanteria
3a compagnia
caduto
per la grande guerra
il 23 agosto 1917
di anni 22
I genitori
i fratelli e congiunti
Q.M.P.
agosto 1917
Mentre persone e cose
gli sorridevano
cadeva da eroe
nella quarta guerra
di redenzione italiana
REGOLO VERNACCINI
La cara memoria di lui
qui
i fratelli e le sorelle
ricordano
6 giugno 1896
25 ottobre 1917
 
ottobre 1917 arriva l'epidemia di "spagnola" che si propaga rapidamente e miete vittime più della guerra. Il lazzaretto di Rosignano è subito insufficiente per gli ammalati, nessuna medicina pare attaccare il morbo che miete famiglie intere, tanto  da far aprire  un nuovo lazzaretto al Gabbro.
Dai luoghi
ove più forte
un di arse la lotta
ritornato ora
alla terra dei padri
dormi tranquillo
il tuo sonno
cullato dalle preghiere
di chi ti ricorda e piange
A GIUSEPPE VISCONTI
la famiglia
28 12 1999
19 6 1918
 
giugno 1918
Alla cara memoria di
ALFREDO MALANIMA
buono operoso
sopportò pazientemente
atroci sofferenze
morto nel fiore degli anni
lasciando in lacrime
la madre e i fratelli
che inconsolabili
Q.M.P.
23 gennaio 1895
9 novembre 1918
 
novembre 1918

                                 L’anima segreta del Carso
 Il paesaggio carsico di cento anni fa, e specialmente quello trasformato dall’immensa tragedia che si è consumata fra le sue pietre, appariva duro, refrattario, disanimato, era difficile in quella distesa di ossa calcinate, di scarne sembianze, estrarre una presenza, un’essenza spirituale. Gli eventi terribili della prima guerra mondiale hanno definitivamente legato quelle pietraie affocate e percosse dagli schiaffi gelidi della bora al conflitto bellico che ha mutato il cuore dell’Europa.
Le caverne di San Martino del Carso, con le loro posizioni di artiglieria, i serpentoni interminabili delle trincee, riparo di un’umanità dolente e immersa nella musica folle e micidiale degli scoppi, delle mitragliatrici, degli assalti spesso inutili e umanamente costosissimi, hanno popolato improvvisamente un mondo deserto, facendone una sorta di dimora coatta e lugubre di migliaia e migliaia di uomini allontanati dalle loro case, dai loro affetti, dalla serenità dei loro paesi.
È stato detto giustamente che la poesia è creazione e, infatti, che sarebbe dell’universo, che senso e che consistenza avrebbero intrecci di stelle e di mondi se non fosse apparso sulla terra l’uomo, nel quale questo infinito si rispecchia e diventa consapevolezza? Così è stato per il Carso a seguito dell’irrompere dei poveri fanti con il carico di sofferenza indicibile, di un’angosciosa precarietà, di un sentimento della morte che lì, tra la pazzia delle pallottole, si faceva possibilità ravvicinata. Il luogo non era più uno spazio morfologico, una distesa di pietre, ma era diventata la dimensione stessa della solitudine, dello spavento, dell’offesa collettiva fatta alla vita. In mezzo al fulmineo e visibile mietere della morte, si componeva una comunità di uomini, che, tra lo scheggiarsi della roccia in voli di sventagliate micidiali, trasferivano paradossalmente allo spettrale paesaggio circostante la loro umanità.
Così per sempre il Carso della sofferenza, dell’assurdità, di un odio neppure fatto proprio da coloro che si fronteggiavano, realizzava la sua essenza più profonda: assumeva da quegli uomini, da quei sofferenti, da quei morituri, da quei morti, una nuova realtà, acquistava per sempre un’anima.
Oggi il rigoglio dei fogliami riveste le pietraie d’un tempo e il Carso appare ridente, non è più un inferno, è il verde della speranza. Dobbiamo a Giuseppe Ungaretti e alla sua poesia se il Carso oggi non è più semplicemente un intreccio di sentieri, di doline, di avare emergenze di acque. Specialmente San Martino del Carso è legato particolarmente alla poesia di Ungaretti. Certo San San Martino del Carso non ha più i muri diroccati, né le spettrali sequenze che il nostro poeta descrive nella poesia del 1916. Ma il paese ricostruito resta lassù isolato, nascosto da valloncelli e dossi e vi pesa sempre la solitudine che è nella poesia.
La realizzazione di sentieri che percorrono quel teatro di dolore e di eroismo, di fatalità crudele e di cieco dovere, costituisce una civile risposta all’esigenza ineludibile della memoria e dell’umana solidarietà che travalica le epoche storiche.
I tempi mutano, i problemi che si affacciano al mondo sono spesso del tutto diversi, ma scendere i gradini di una trincea, sostare in raccoglimento, quasi in preghiera, è un gesto che annulla le distanze del tempo e che ci fa percepire un messaggio indistruttibile, che ogni uomo è fratello di qualsiasi altro uomo, specialmente di quanti novant’anni fa, forse inutilmente ma certo con con un altissimo senso del dovere, hanno creduto di preparare le nostre strade sacrificando la loro giovane vita. E forse il loro sacrificio inutile per noi che ci siamo rintanati nei nostri piccoli spazi e abbiamo abiurato spesso ogni ideale che ci trascende, può ancora scuoterci e indurci ad un commosso sentimento di rispetto.

                                                                                                   
 Dott. Marco Martinolli
                                                           presidente del CAI di Monfalcone
                                               (per gentile concessione, con la collaborazione della sig.ra Anna Maria Sanguineti)