Ricordi di un operaio
Diario di una vita per la politica
1920-1968

L'autore ripercorre, a grandi tratti, le sue prime esperienze di ragazzo nella Vada degli anni '20 ... ed i suoi ricordi prima nelle scuole elementari di Vada e poi nella scuola di Avviamento al lavoro di Rosignano Solvay. Emerge, la personalità del padre, antifascista, ma anche ex combattente che quella mattina del 20 giugno 1944, lo prende sulle spalle per salvarlo da un rastrellamento dei tedeschi infuriati e alla ricerca dei partigiani, e lo spinge con tutta la sua forza nella soffitta pochi attimi prima di essere ucciso barbaramente, inerme e indifeso, nella cucina della propria abitazione...La figura carismatica del padre, e la sua tragica fine, insieme a quella degli altri tre martiri di Vada, lascia quindi un grande segno nella formazione umana, sociale e politica dell'autore, formazione che viene maturando negli anni successivi, a diretto contatto con il mondo del lavoro, quando entra nel 1936 come apprendista nella fabbrica Solvay. E' qui che ha le sue prime esperienze e qui ritornerà, dopo la fine della guerra, ormai pronto e preparato, con altro spirito e con una maggiore maturità, ad assolvere ad un compito difficile ed impegnativo, di organizzatore ed animatore sindacale e politico per tutto il difficile periodo del dopo guerra...Al di là della scelta politica, un grande insegnamento da non sottovalutare proprio in questo periodo storico nei quale la politica attraversa una grave crisi, con pericolosi processi di rifiuto e di distacco dalla partecipazione alla vita associata ... Le memorie, le riflessioni critiche anche nei riguardi del suo partito, gli insegnamenti "tra le righe", contenuti tutti in questi "Ricordi",  possono aiutare  soprattutto i giovani, a conoscere meglio, da un lato, una realtà storica caratterizzata da confronti-scontri sui piano sociale e politico molto duri e coinvolgenti le grandi masse popolari nella partecipazione attiva alla vita politica e, dall'altro lato, a riflettere sul ruolo svolto da uomini e donne, che hanno contribuito, con tutta la loro intelligenza, con tutta la loro passione e con tutti i loro sacrifici, a costruire una società "aperta" ed un costume di vita democratico basati sulla fratellanza, sui rispetto reciproco, sulla solidarietà, sulla eliminazione, o attenuazione, di ogni forma di pregiudizio razziale, etnico, sociale, religioso.             DEMIRO MARCHI

Un volume che racconta sessant’anni vissuti all’ombra delle ciminiere.
"Ricordi di un operaio". Lupichini scrive il "Diario di una vita per la politica".

VADA - «Ricordi di un operaio» è l’autobiografia di Emilio Lupichini. Con un sottotitolo ancor più significativo: «Diario di una vita per la politica». Ma chi vi ricercasse la testimonianza di un comunista tutto volto alla politica (un tempo si diceva «rivoluzionario di professione») resterebbe in certa misura deluso. Lupichini ci racconta difatti momemti ed aspetti della sua vita nella sua totalità e spesso acquistano rilievo proprio i quadri, i riferimenti, i particolari vissuti nella complessità delle riflessioni e dello sviluppo spesso contraddittorio delle idee, ma anche nella imprevedibilità dei rapporti umani. Il «compagno» Emilio è nato nel 1920 ed era cresciuto, proprio nel ventennio del regime fascista con un padre,— molto amato dal figlio — orgoglioso della sua partecipazione alla Grande Guerra ed incapace di distinguere tra giusto sentimento nazionale e nazionalismo e dunque facile preda della propaganda patriottarda del tempo. Da qui le animate discussioni tra padre e figlio che Emilio ricorda con affettuosa comprensione per un uomo tutto d’un pezzo, suo padre appunto, che nel 44 in una situazione drammatica lo salvò da sicura morte e perì ucciso nel famigerato eccidio vadese in cui caddero altri quattro innocenti in una rappresaglia tedesca. Una giovinezza pertanto segnata da eventi drammatici e nel suo caso anche tragici, ma non priva di tensioni positive e di speranze, in un quadro di organizzazione e di sviluppo dell’agglomerato del paese nel più ampio contesto dell’insediamento e della crescita della civiltà industriale intorno alla grande fabbrica. «Nel 1927 — ricorda Lupichini — dodici lire al giorno erano la paga di un operaio Solvay, poche considerando che mio padre era anche un grande fumatore. In mancanza di tabacco diverse volte, per fumare, andava a raccoglier il tasso bardasso».
Piace come Lupichini, senza alcun vezzo letterario, sappia ben entrare nel microcosmo dei fatti quotidiani per poi risalire agli spaccati più ampi della realtà locale nel quadro delle vicende storiche più rilevanti. Dal padre operaio che guadagnava appena di che vivere alle pinete in pieno sviluppo, alla ricerca dei tartufi nella macchia mediterranea, alle «girate» in compagnia di don Ciabatti a caccia di selvaggina, Emilio passa a narrare le prime forme di educazione scolastica dei ceti poveri oltre le elementari alle classi dell’avviamento fino alla formazione di una nuova leva operaia più consapevole dei processi produttivi.
E così sono rievocate tanto le vicende epiche della partecipazione alla lotta antifascista fino agli scontri politici ed alle battaglie economiche e salariali del secondo dopoguerra. Gli scioperi del 48-49 in un mix di lotte ideali per la pace, contro ogni ipotesi di guerra atomica, e di scontri più immediatamente ideologici e politici sono ricordati da Lupichini con dovizia di particolari che restituiscono sapore reale a quel periodo così inquietante e convulso della prima rinascita democratica. Un’opera che poi si dipana fino alle vicende degli anni 50 e 60 attraverso anche una cospicua raccolta di dati elettorali locali e di elementi significativi delle conquiste normative e salariali fino alle prime intuizioni del rilievo che le vicende ambientaliste ponevano in una realtà dove la grande azienda chimica la faceva da padrona. Insomma, una testimonianza importante. Un’opera che se non avesse anche altri pregi si raccomanda per la quantità davvero ragguardevole di notizie utili per qualsiasi ricerca e studio di storia locale. E che meriterebbe una veste «editoriale» adeguata. Carlo Rotelli per Il Tirreno, 13 dicembre 1966.

Dal volantino involontariamente autoironico alla lettera scritta a Togliatti a favore di Reale. La raccolta di documenti di un uomo scomodo.
Dante avrebbe detto...
«DANTE avrebbe detto»: suona così il titolo di un manifesto di propaganda del Pci livornese nel 48, pubblicato in appendice nell’opera di Emilio Lupichini. E’un gustoso prodotto dei tempi, involontariamente autoironico. Le terzine, inventate in stile dantesco, avevano questi accenti: «Quando il diciotto aprile i democristi! usciron vincitori dallo suffragio! ahi dura terra perché non t’apristi?! Or l’italo battello va randagio! miseria e fame ad ogni porta bussa! e spinge lo Paese al naufragio! E così via poetando in rima concatenata. Un’altra perla di quei tempi è una lettera inviata dalla direzione Solvay al Lupichini nell’ottobre del 52, in cui lo si sospende per due giorni perché «in occasione di uno sciopero non preavvisato» alla Direzione, aveva preso «la parola all’interno dello stabilimento». C’è poi, sempre in appendice una lettera del 56 di Lupichini al «compagno Togliatti» in cui Emilio lamenta che il «compagno Reale, dirigente della resistenza» sia stato espulso dal partito per il dissenso sull’invasione sovietica a Budapest e perché non sia stata pubblicata sull’Unità la lettera di spiegazione sempre di Reale. La risposta di Togliatti a Lupichini è perentoria: la lettera non è stata pubblicata perché Reale «prima di mandarla all’Unità e alla Segreteria del partito, l’ha passata ai giornali quotidiani nostri nemici».

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