L'autore ripercorre, a grandi
tratti, le sue prime
esperienze di ragazzo nella Vada degli anni '20 ... ed i suoi
ricordi prima nelle scuole elementari di Vada e poi
nella scuola di Avviamento al lavoro di Rosignano Solvay.
Emerge, la personalità del padre, antifascista,
ma anche ex combattente che quella mattina del 20 giugno 1944, lo prende
sulle spalle per salvarlo da un rastrellamento dei tedeschi infuriati e
alla ricerca dei partigiani, e lo spinge con tutta la sua forza nella
soffitta pochi attimi prima di essere ucciso barbaramente, inerme e
indifeso, nella cucina della propria abitazione...La figura carismatica
del padre, e la sua tragica fine, insieme a quella degli altri tre martiri
di Vada, lascia quindi un grande segno nella formazione umana, sociale e
politica dell'autore, formazione che viene maturando negli anni
successivi, a diretto contatto con il mondo del lavoro, quando entra nel
1936 come apprendista nella fabbrica Solvay. E' qui che ha le sue prime
esperienze e qui ritornerà, dopo la fine della guerra, ormai pronto e
preparato, con altro spirito e con una maggiore maturità, ad assolvere ad
un compito difficile ed impegnativo, di organizzatore ed animatore
sindacale e politico per tutto il difficile periodo del dopo guerra...Al
di là della scelta politica, un grande insegnamento da non sottovalutare
proprio in questo periodo storico nei quale la politica attraversa una
grave crisi, con pericolosi processi di rifiuto e di distacco dalla
partecipazione alla vita associata ... Le memorie, le riflessioni critiche
anche nei riguardi del suo partito, gli insegnamenti "tra le righe",
contenuti tutti in questi "Ricordi", possono aiutare
soprattutto i giovani, a conoscere meglio, da un lato, una realtà storica
caratterizzata da confronti-scontri sui piano sociale e politico molto
duri e coinvolgenti le grandi masse popolari nella partecipazione attiva
alla vita politica e, dall'altro lato, a riflettere sul ruolo svolto da
uomini e donne, che hanno contribuito, con tutta la loro intelligenza, con
tutta la loro passione e con tutti i loro sacrifici, a costruire una
società "aperta" ed un costume di vita democratico basati sulla
fratellanza, sui rispetto reciproco, sulla solidarietà, sulla
eliminazione, o attenuazione, di ogni forma di pregiudizio razziale,
etnico, sociale, religioso.
DEMIRO MARCHI
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Un
volume che racconta sessant’anni vissuti all’ombra delle ciminiere.
"Ricordi di un operaio". Lupichini scrive il "Diario di una vita per la
politica".
VADA - «Ricordi di un operaio» è l’autobiografia di Emilio Lupichini.
Con un sottotitolo ancor più significativo: «Diario di una vita per la
politica». Ma chi vi ricercasse la testimonianza di un comunista tutto
volto alla politica (un tempo si diceva «rivoluzionario di professione»)
resterebbe in certa misura deluso. Lupichini ci racconta difatti momemti
ed aspetti della sua vita nella sua totalità e spesso acquistano rilievo
proprio i quadri, i riferimenti, i particolari vissuti nella complessità
delle riflessioni e dello sviluppo spesso contraddittorio delle idee, ma
anche nella imprevedibilità dei rapporti umani. Il «compagno» Emilio è
nato nel 1920 ed era cresciuto, proprio nel ventennio del regime
fascista con un padre,— molto amato dal figlio — orgoglioso della sua
partecipazione alla Grande Guerra ed incapace di distinguere tra giusto
sentimento nazionale e nazionalismo e dunque facile preda della
propaganda patriottarda del tempo. Da qui le animate discussioni tra
padre e figlio che Emilio ricorda con affettuosa comprensione per un
uomo tutto d’un pezzo, suo padre appunto, che nel 44 in una situazione
drammatica lo salvò da sicura morte e perì ucciso nel famigerato eccidio
vadese in cui caddero altri quattro innocenti in una rappresaglia
tedesca. Una giovinezza pertanto segnata da eventi drammatici e nel suo
caso anche tragici, ma non priva di tensioni positive e di speranze, in
un quadro di organizzazione e di sviluppo dell’agglomerato del paese nel
più ampio contesto dell’insediamento e della crescita della civiltà
industriale intorno alla grande fabbrica. «Nel 1927 — ricorda Lupichini
— dodici lire al giorno erano la paga di un operaio Solvay, poche
considerando che mio padre era anche un grande fumatore. In mancanza di
tabacco diverse volte, per fumare, andava a raccoglier il tasso
bardasso».
Piace come Lupichini, senza alcun vezzo letterario, sappia ben entrare
nel microcosmo dei fatti quotidiani per poi risalire agli spaccati più
ampi della realtà locale nel quadro delle vicende storiche più
rilevanti. Dal padre operaio che guadagnava appena di che vivere alle
pinete in pieno sviluppo, alla ricerca dei tartufi nella macchia
mediterranea, alle «girate» in compagnia di don Ciabatti a caccia di
selvaggina, Emilio passa a narrare le prime forme di educazione
scolastica dei ceti poveri oltre le elementari alle classi
dell’avviamento fino alla formazione di una nuova leva operaia più
consapevole dei processi produttivi.
E così sono rievocate tanto le vicende epiche della partecipazione alla
lotta antifascista fino agli scontri politici ed alle battaglie
economiche e salariali del secondo dopoguerra. Gli scioperi del 48-49 in
un mix di lotte ideali per la pace, contro ogni ipotesi di guerra
atomica, e di scontri più immediatamente ideologici e politici sono
ricordati da Lupichini con dovizia di particolari che restituiscono
sapore reale a quel periodo così inquietante e convulso della prima
rinascita democratica. Un’opera che poi si dipana fino alle vicende
degli anni 50 e 60 attraverso anche una cospicua raccolta di dati
elettorali locali e di elementi significativi delle conquiste normative
e salariali fino alle prime intuizioni del rilievo che le vicende
ambientaliste ponevano in una realtà dove la grande azienda chimica la
faceva da padrona. Insomma, una testimonianza importante. Un’opera che
se non avesse anche altri pregi si raccomanda per la quantità davvero
ragguardevole di notizie utili per qualsiasi ricerca e studio di storia
locale. E che meriterebbe una veste «editoriale» adeguata. Carlo Rotelli
per Il Tirreno, 13 dicembre 1966. |
Dal volantino involontariamente autoironico alla lettera
scritta a Togliatti a favore di Reale. La raccolta di documenti di un
uomo scomodo.
Dante avrebbe detto...
«DANTE avrebbe detto»: suona così il titolo di un manifesto di
propaganda del Pci livornese nel 48, pubblicato in appendice nell’opera
di Emilio Lupichini. E’un gustoso prodotto dei tempi, involontariamente
autoironico. Le terzine, inventate in stile dantesco, avevano questi
accenti: «Quando il diciotto aprile i democristi! usciron vincitori
dallo suffragio! ahi dura terra perché non t’apristi?! Or l’italo
battello va randagio! miseria e fame ad ogni porta bussa! e spinge lo
Paese al naufragio! E così via poetando in rima concatenata. Un’altra
perla di quei tempi è una lettera inviata dalla direzione Solvay al
Lupichini nell’ottobre del 52, in cui lo si sospende per due giorni
perché «in occasione di uno sciopero non preavvisato» alla Direzione,
aveva preso «la parola all’interno dello stabilimento». C’è poi, sempre
in appendice una lettera del 56 di Lupichini al «compagno Togliatti» in
cui Emilio lamenta che il «compagno Reale, dirigente della resistenza»
sia stato espulso dal partito per il dissenso sull’invasione sovietica a
Budapest e perché non sia stata pubblicata sull’Unità la lettera di
spiegazione sempre di Reale. La risposta di Togliatti a Lupichini è
perentoria: la lettera non è stata pubblicata perché Reale «prima di
mandarla all’Unità e alla Segreteria del partito, l’ha passata ai
giornali quotidiani nostri nemici». |