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Noi che credevamo
di vincere la guerra |
Quattro quaderni di cui il primo perduto, raccontano la vita quotidiana dal maggio del 1940 a Civitavecchia, fino a Ragusa (oggi Dubrovnik) e si concludono a Bracciano il 10 settembre del 1941 dopo 500 giorni esatti da richiamato. Un resoconto molto personale, scritto ogni sera in branda, giorno dopo giorno, DURANTE il primo anno di guerra, aiuta a farsi una chiara idea di come la preparazione militare, in questo caso dell’artiglieria leggera, vista ovviamente con il “senno del poi”, fosse quanto mai sommaria e superficiale, ancora trasportata con i muli come nella guerra precedente, senza scarpe di riserva e pur nel rigore formale, limitata a non troppo pesanti esercitazioni mattutine tempo permettendo, inframezzate da tornei di calcio, esercitazioni di canto fascista, passo romano e la sera assai spesso, cena all’osteria, con cinema per chiudere la giornata. Con questa preparazione sommaria, migliaia di giovani hanno onestamente creduto possibile rovesciare i destini dell’Europa, come pubblicamente veniva dichiarato dalla propaganda mussoliniana e dalla retorica fascista. Saltuariamente una parata per il Duce, che per i giovani ventenni cresciuti, sotto l’ala del Minculpop e nel sogno dell’Impero, rappresentava un mito, un ideale, che solo un po’ più tardi con l’avanzare degli avvenimenti perderà tutto il suo smalto, scoprendo la nuda realtà, quando la tragedia coinvolgerà ormai ogni angolo del paese. |