Una fotografia
mostra mio padre
bambino in un
deserto
porticciolo di
Castiglioncello.
L’anno dev’essere
il 1914, dunque
sono cento anni
che frequentiamo
questa località.
Difficile dire
perché
cominciammo. Il
posto è molto
lontano da Roma
- trecento
chilometri, che
nel 2015 data la
pessima linea
ferroviaria
comportano quasi
quattro ore. Nel
’14 si doveva
addirittura
prendere una
carrozza a
Livorno, non
c’era la
stazione in
stile medievale
poi imposta dal
padrone del
terreno, un
barone Pastrone
che si era fatto
costruire un
imponente
castello con
torre merlata e
saloni
dugenteschi.
Comunque i miei
nonni presero a
venirci
abitualmente, e
col tempo vi
attirarono
amici. Qui nei
primi Anni
Trenta il mio
futuro padre,
che era bravo a
scuola, fu
ingaggiato a
dare ripetizioni
alla mia futura
madre, rimandata
a ottobre.
Sempre qui una
diecina di anni
dopo un mio zio
e suo cugino
conquistarono la
mano di due
belle sorelle.
La futura sposa
di mio padre era
figlia di Emilio
Cecchi, le mogli
dei miei zii,
nipoti di Luigi
Pirandello: il
posto era
diventato anche
una piccola
colonia estiva
di
intellettuali.
Quanto al tema
delle vacanze e
di come queste
si sono evolute,
offro la mia
testimonianza di
frequentatore di
un unico luogo,
dove sono
tornato quasi
tutte le estati
fino dal tempo
della guerra; ma
devo distinguere
tra vacanza e
villeggiatura.
Per noi niente
vacanze mordi e
fuggi, bensì
villeggiature, e
lunghissime. Da
ragazzini io e
le mie sorelle
venivamo spediti
a
Castiglioncello
appena finite le
scuole, ossia a
giugno, fino
alla riapertura
delle medesime
ai primi di
ottobre. A
questo punto era
nostra madre ad
affittare una
villa per tutto
il periodo, e a
insediarvisi.
Mio
padre veniva
poco, lui aveva
bisogno di molti
libri e del
pianoforte,
semmai andava in
giro per
festival
musicali. Mia
madre invece era
stanziale.
Scriveva i suoi
copioni per il
cinema, spesso
con
collaboratori
anche illustri
(Flaiano,
Pratolini,
Visconti...) che
ospitava.
Altri amici
facevano
soggiorni
prolungati nella
zona, specie
persone con
impegni che lo
consentivano -
gente di
spettacolo,
donde le ville
dei vari
Mastroianni,
Sordi, Panelli.
Quelle
interminabili
estati ti
consentivano
innanzitutto di
prendertela con
comodo, senza
l’ansia di
godere l’attimo
fuggente.
Naturalmente
oggi, signora
mia, soggiorni
così non li fa
più nessuno, o
perlomeno qui.
Certo, io
continuo; ma
appunto, io
posso lavorare
dovunque, e le
notizie sugli
aeroporti non mi
incoraggiano a
esplorare un
altrove. Però i
nostri complici
storici sono
tutti morti, e i
figli, comprese
le mie, hanno
cambiato
abitudini. Le
ville sono in
vendita e solo
le più
spettacolari
trovano
acquirenti, di
solito russi.
Quanto al posto,
rispetto ai
nostri tempi...
Chissà perché,
la pineta non
manda più quel
caratteristico
profumo che ti
accoglieva
quando scendevi
dal treno. Una
ristrutturazione
del porticciolo
ha portato via
la sabbia dalla
spiaggetta dove
nel ’62 fu
girato «Il
sorpasso». Per
il resto, i
cambiamenti
riguardano
soprattutto la
sera. Come la
passino le folle
del weekend o
dei primi venti
giorni di
agosto, lo
ignoro. Io non
esco, le cose
che facevo non
si fanno più.
Nessuno va più a
ballare. Nessuno
gioca più a
carte - una
volta al tennis
c’erano forse
trenta tavolini
per bridge,
whist, peppa,
canasta, fino
alle due del
mattino. Nessuno
fa più le ore
piccole. Pochi
vanno al cinema
all’aperto, che
ricicla film già
visti. Nessuno
fa più gite in
auto, mentre un
tempo si andava
in carovana a
mangiare in
ristorantini
lontani anche
trenta, quaranta
chilometri (non
lo sapevamo, ma
cibo e benzina
costavano
niente).
D’altro canto,
sia pure con
piccole
modifiche -
molta protezione
solare e niente
più ambulante
con bomboloni
fritti -, la
giornata al mare
è rimasta la
stessa. L’acqua
è ancora
azzurra,
profonda,
discretamente
pulita, nonché
frequentata
dalle stesse
meduse con cui
malgrado gli
invalsi
occhialetti
continuo
periodicamente e
dolorosamente a
scontrarmi.