Gli ospiti di Castiglioncello  Cronache


Da "Il Tirreno" del 19-07-01 di Aldo Santini 

Corcos, il ritrattista delle regine. Fu costruita per lui la villa di Castiglioncello poi acquistata da Alberto Sordi.
Una foto per fissare l'immagine e poi via con i pennelli

La grande villa quadrata sul mare, a Castiglioncello, che era di Alberto Sordi, fu costruita per Vittorio Corcos, il ritrattista livornese di fama europea. Corcos è stato uno dei primi personaggi a valorizzare Castiglioncello, dopo gli anni d'oro di Martelli e dei Macchiaioli. Per stabilire alcuni legami: Martelli, oltre all'Abbati e al Sernesi, al Fattori, al Borrani e al Boldini, aveva invitato anche lo scrittore Renato Fucini che si innamorò di Castiglioncello, venne ad abitarci e chiamò a sua volta Corcos. Poi, scaglionati nel Novecento, arrivarono tutti gli altri, Marradi e Petrolini, Toscanini, Soffici, Papini, Medardo Rosso. Seguiti dai Cecchi e dai D'Amico, dagli Spadolini, da Pirandello, eccetera, eccetera. Molti ci misero su casa. Castiglioncello, però, ha cambiato faccia con Fausto Patrone che dopo aver acquistato i terreni di Martelli inglobò la sua abitazione e, sulla collina della torre medicea, eresse il castello che ancora domina il paesaggio. Patrone era nato a Lima, aveva il titolo di barone, e si era arricchito con il commercio del guano. Pecunia non olet dicevano i romani. E dobbiamo a Patrone se Corcos fece di Castiglioncello la base delle sue vacanze. Corcos passeggia con la moglie sulla scogliera, lei con il cappellino e lui con il panama e la mazzetta. E' luglio, fa caldo, ma siamo all'inizio del Novecento. I blue-jeans e l'ombelico all'aria sono lontanissimi nel futuro. Corcos si ferma sul tratto più proteso nel mare, batte la mazzetta per terra ed esclama: «Qui voglio costruire la mia casa». Alla primavera successiva gli arriva un plico, nel suo atelier fiorentino in via dei Robbia. Lo apre e ci trova una chiave con poche righe: «La casa che lei sognava è pronta. Venga ad abitarla. E' sua». Firmato: Patrone. «Venga, la sua casa ormai è pronta» Corcos è celebre, i suoi ritratti gli hanno dato la ricchezza e un fascino irresistibile. A Parigi lo chiamano «il mago che rende belle tutte le donne in grado di posare per lui». Felici di apparire belle anche se non lo sono. E' il mago che sulla tela realizza i sogni dei suoi clienti. Patrone ha voluto realizzare il sogno di Corcos. Ignoro se, per ringraziare il suo donatore, Corcos salì al castello e volle ritrarlo. Se ciò accadde, prima di piazzare il cavalletto, Corcos eseguì una serie di disegni, fece posare Patrone come e dove desiderava, e scattò una foto con una macchina a soffietto. Era la sua abitudine, allorché il ritratto era impegnativo. Fotografo eccellente, usava le lastre e, se si trovava a Castiglioncello, le portava a sviluppare nello studio livornese di Miniati. E' stato Bruno Miniati a rivelarmi che Corcos proiettava l'immagine sulla tela tratteggiando la figura. Poi curava da par suo il volto e le mani, l'espressione. I regnanti e le corti di tutta Europa se lo disputavano. Le dame del bel mondo lo assediavano perfino a Castiglioncello per posare davanti a lui, disposte a tutto, non solo a retribuirlo secondo le sue tariffe. Nella sua carta da visita Corcos aveva segnato i prezzi dei ritratti divisi in cinque categorie: soltanto la testa, busto senza mani, busto con le mani, mezza figura fino al ginocchio, figura intera. Eppure non è stato il ritratto ad aprire la carriera di Corcos. Bensì le scene di città, le vedute alla De Nittis. Era stato due anni a scuola da Domenico Morelli, a Napoli, quel Morelli che aveva bazzicato i Macchiaioli nel Caffè Michelangelo di Firenze. Corcos giovanetto, dopo Napoli, va alla conquista di Parigi con poche lire in tasca, butta giù qualche scorcio del Bois de Boulogne, e si presenta alla galleria del mercante Goupil. I suoi quadri piacciono. Gouipil gli firma un contratto. Uscito dalla galleria con il passaporto per il mondo dei ricchi, Corcos monta su un fiacre dicendo a se stesso: «Da oggi non vado più a piedi». E manterrà la promessa. Al Cafè des Anglais ordina la sua prima colazione da gran signore. Poi telegrafa a suo padre, a Livorno: «Lascia il tuo impiego perché da ora in avanti penso io a te e a mamma». Corcos espone al Salon dei giovani. Viene premiato e giudicato modernissimo. Richiama l'attenzione di Edmond de Goncourt. Diviene un pittore alla moda. Nel suo diario si legge: «Conosciuto Zola, ha un aspetto lugubre, un pallore cadaverico, due nerissimi occhi, parla poco, nervosamente. Pranzo dai Daudet, conversazione più che piacevole. Torno da Londra, ho consegnato un quadro al signor Hoxman, splendida casa e splendido parco. Conosciuto Flaubert, espansivo, esuberante, parla a voce alta e non vuole essere interrotto, ride rumorosamente. Pranzo dal De Nittis, sono lusingato dell'amicizia di questo grande pittore. Accoglienza e spaghetti napoletani». E in data 24 agosto 1884: «E' morto quasi improvvisamente, per emorragia cerebrale, a soli 38 anni, De Nittis. Vengo dal funerale, grande dolore per tutti. Nello studio l'ultimo abbozzo per un quadro. Scompare un grandissimo pittore». Nel 1884, Corcos ha 25 anni. Frequentando i salotti parigini, prende a ritrarre le dame e i cavalieri. Si dimostra abilissimo. Grande tecnica, grande psicologia. Capisce che un ritratto non deve soltanto somigliare, ma rappresentare il carattere e la posizione sociale del cliente. E che bisogna ritrarre il soggetto non com'è ma come vorrebbe essere. «Che vuoi fare?» confessa a Renato Fucini, nel 1900 a Castiglioncello. «Se sono troppo anziani e vogliono lasciare un'immagine giovanile, io gli tolgo vent'anni di dosso, tondi tondi. Hanno la pancia e il doppio mento? Io li affilo. Sono dimagriti? Io li riporto al peso giusto. La signora è una marchesa ma s'intuisce che sua madre era una pesciaiola? E io la nobilito con un'aria degna della Morosini. Di Goya ce n'è stato uno solo». «Sono un artigiano» ripeteva con umiltà, «non sono Van Dyk e nemmeno il Bronzino». Con il trascorrere degli anni, poi, la famiglia si era allargata. Si sposò, ebbe figli e figliastri, il suo trend di vita era molto dispendioso, doveva guadagnare parecchio, i suoi ritratti dovevano entusiasmare, sennò erano guai. Sua figlia Memmi, marchesa Strozzi, ha ricordato: «Il barometro delle finanze familiari era un certo cuoco Federico che con gioia di tutti appariva in cucina quando le cose andavano bene. Se scompariva Federico, significava che era un periodo di magra. Ma mio padre rimaneva sereno. Si limitava a dire a mia madre: `Ti prego vai da San Gaetano, non lo annoiare troppo, ma digli che mi aiuti'. Si correva da San Gaetano, che è il santo della provvidenza, e mentre mia madre pregava io accendevo una candela davanti al santo dicendogli: San Gaetano, mi raccomando, fai che arrivi qualche ritratto. Mi illudevo che San Gaetano mi sorridesse, ma è certo che i ritratti ricominciavano e il cuoco Federico tornava in cucina». Una polverina gialla per imbiondire la barba A Castiglioncello, l'estate, veniva a trovarlo Ugo Ojetti, dalla vicina San Vincenzo. E' lui a riferirci del giorno in cui Corcos fu chiamato all'albergo Quirinale, a Roma, per ritrarre un senatore, industriale lombardo di gran nome, scapolo e dongiovanni. Attraverso la tenda sollevata a metà dell'anticamera, vide il suo personaggio che si cospargeva la barba ormai brizzolata con una polverina gialla, per imbiondirla. Corcos non esitò a immortalarlo con una barba dorata, le guance lisce, senza l'ombra di una ruga, e la pupilla del falco. Più volte Corcos era costretto a dipingere il ritratto di una persona scomparsa. I parenti si raccomandavano di non respingerli, gli mandavano le foto della buonanima, e se non avevano una foto glielo descrivevano. Riservava le ferie di Castiglioncello a quelle pesanti incombenze. Sempre Ojetti ci spiega che una mattina, nel suo studio di Firenze, comparvero due giovanotti ben vestiti, la striscia del lutto al braccio per la morte del padre. «Maestro le chiediamo di dipingere il ritratto del nostro adorato papà scomparso, tutto intero, in piedi, per il prezzo ci rimettiamo a lei». Corcos domanda una foto del caro estinto. I fratelli rispondono di non averla. «Hanno un disegno, un medaglione?». Nulla. I fratelli chinano la testa, umiliati. Corcos non si rassegna. «Mi contento che me lo discrivano, allora. Era biondo, bruno, alto? Aveva dei segni caratteristici?». «Nostro padre non l'abbiamo mai veduto, signore. Partì per il Brasile che eravamo piccoli, e si è spento laggiù, in quelle terre lontane». «Nemmeno un suo ricordo, tenete?». «Un ricordo lo abbiamo, sì, è questo cammeo, signore. Lo portava alla cravatta». Corcos accettò l'incarico. «Ripassate da me tra due mesi, a Castiglioncello. Due mesi dopo i fratelli ritirarono nella villa di Corcos, a Castiglioncello, il ritratto fedelissimo del padre: un uomo alto, imponente, severo, autorevole, ma gli occhi buoni, l'aria nobile, vestito come un lord, redingote e scopettoni, con il cammeo che luccicava sulla cravatta. «E' proprio lui» esclamarono in lacrime i fratelli. «Papà Papa». Più tardi Corcos, riferendo quella scena agli amici, mormorò con pudore: «Devo ammetterlo, mi sono commosso anch'io».  

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