Castiglioncello ieri/Caletta

I tre fratelli Fanucci, lupi di mare alle dipendenze delle ville di Caletta. In alto Natale Fanucci (secondo da sinistra) in un gruppo di pescatori con squalo. A destra Vittorio Fanucci. In basso Ezio Fanucci e Luciano Nelli e a destra il gozzo dei Simoncini.

                    I vecchi maestri dell’arte della pesca
Quasi non ci si fa più caso, ma lungo la passeggiata a mare da Crepatura al Porticciolo, lungo i muri a leggero barbacane che chiudono i terrapieni dove la costiera s’innalza, via via si trovano una decina di portoni vecchi o comunque della foggia originaria, chiusi ormai da parecchi anni.
 Altri si vedono raramente aperti su vani ad uso di rimessaggio balneare ed altri ancora che, con serramenti adeguati, si aprono oggi su esercizi commerciali di vario genere. Due scomparvero alcuni decenni fa, in seguito alla demolizione delle strutture a cui appartenevano, per far largo alla gradinata di “via della caletta”, quasi all’inizio della passeggiata a mare, lato Rosignano Solvay. Fondi scavati nella roccia. Per via della costiera, a volte a picco, a volte digradante, i fondi a cui danno accesso questi portoni risultano più o meno o scavati nella roccia e perciò dotati solo di una o due finestrelle, quasi al soffitto, a volte nessuna. In origine, pavimentati a cemento, mantenevano una fresca umidità salmastra. Questi locali, che presero il nome di “magazzini”, vennero fatti costruire, nella maggior parte dei casi, dai proprietari delle ville retrostanti o delle vicinanze. L’impiego per cui sorsero era di rimessaggio nautico privato, ma al contempo i proprietari assumevano alle loro dipendenze un pescatore cui affidavano la barca e che dotavano, dietro sua indicazione, delle adeguate attrezzature: reti palamiti e calamenti di vario genere; e non solo per assicurarsi il pesce fresco, ma anche per partecipare loro stessi ad alcune battute di pesca.
- I pescatori-dipendenti. Ugualmente, il pescatore poteva condurli a far gite in barca con la famiglia, magari in visita ad amici che abitavano lungo costa (gran belle barche, veri capolavori dei maestri d’ascia di cui si è persa l’eredità professionale). Siamo negli anni Venti e fra questi pescatori-dipendenti, quasi nessuno aveva mai posseduto una imbarcazione: i più erano diventati dei bravi pescatori andando in mare fin da bimbetti con gente del mestiere. E siccome i primi pescatori di Castiglioncello sono stati i Simoncini (già negli ultimi decenni dell’800) avvenne che anche i primi a fare i pescatori-dipendenti appartenessero a questa famiglia.
La famiglia Fanucci. Da parte di madre: Natale, Ezio e Vittorio, figli di Ida Simoncini ed Egidio Fanucci, livornese, un tipo dall’aspetto vigile e disinvolto, tanto che, pur essendo scaricatore di porto, lo chiamavano ‘il dottore’. I tre fratelli praticarono questo mestiere fin dalla loro gioventù e, in seguito, quando trovarono un altro lavoro, mantennero comunque un legame con la loro precedente attività di pescatori. Fino da anziani continuavano perciò a frequentare quei magazzini di pesca, diventati ormai una caratteristica locale di cui la miglior fioritura si può datare fra l’ultimo dopoguerra e la metà degli anni ’60. Ed è proprio in questo periodo che vale ritrovare nostri tre iniziatori.
- I tre fratelli. Uno alla volta. Natale, detto Natalino, a Portovecchio continuava a frequentare il magazzino di Angiolo Faccenda, castiglioncellese, persona signorile e benevola. Il sor Angiolo ospitava anche altri pescatori dilettanti. Era anche un piacevole affabulatore e nei lunghi pomeriggi estivi intratteneva spesso amici villeggianti che si fermavano volentieri lì al fresco per conoscere storie di pesca e di paese; lui li assecondava di buon grado chiamando ogni tanto Natalino a dar conferme o rinverdire un ricordo.
- In barca con Natalino. Anche parecchi ragazzi bazzicavano lì, a farsi prestar lenze e calamenti; ma poi, se volevano prendere un pesce ‘che si rispetti’ dovevano andare in barca con Natalino. Natalino era un sicuro conoscitore dei cambiamenti del tempo: un pomeriggio d’estate col mare piatto e un sole che spaccava le pietre giunse dal lavoro quasi di corsa, si guardò intorno ed esclamò risentito agli amici di pesca: “O ragazzi, ma non avete ancora salpato le reti?” E quelli si guardarono in modo interrogativo a chiedersi perché avrebbero dovuto farlo: “Ma come” soggiunse il pescatore: “Guardate laggiù” indicando una particolare conformazione meteorologica che lui scopriva all’orizzonte: “Non l’avete visto l’occhio al vento?”. In tutta fretta andarono ai remi e salvarono le reti appena in tempo mentre la burrasca incalzava.
- I segreti dei palamiti. Natale era il maggiore dei fratelli e da piccolo aveva abitato con la famiglia a Livorno. Già da allora frequentando le cantine di pesca e la darsena aveva appreso i segreti e la perizia della tradizione locale nell’uso dei palamiti per cui sono appunto famosi i “palamitari” livornesi. Era una fonte sicura per la conoscenza della pesca litoranea. Una volta lo intervistò Piero Angela. Dei tre fratelli, Ezio è quello che più ha fatto mestiere della sua attività di pescatore-dipendente. Il magazzino e la barca, un gozzo di cinque metri che aveva in uso, erano di proprietà dell’avvocato Gelati, persona che in paese è ancora ricordata con motivi di stima. Il magazzino di pesca è sul lato sinistro all’imbocco della scala che dalla passeggiata sale in via dei Fiori. D’estate, nel tempo libero dalla pesca, Ezio accudiva a un tratto di arenile di fronte al magazzino tenendo in custodia ombrelloni e sdraio di proprietà dei bagnanti.
- Il lavoro sulla spiaggia. Per un certo periodo l’aiutò in questo lavoro un giovane di paese, Luciano Nelli che ne serba un affettuoso ricordo e così lo descrive: “Sempre vestito con la maglia di lana blu e pantaloni di tela d’Africa, lunghi, blu, rimboccati. Era anche molto bravo e richiesto a preparare banchetti a base di pesce. Un uomo di cuore, taciturno e sereno; la gente si fermava volentieri al magazzino per far due chiacchiere con lui. Aveva le sue giornate di silenziosa contrarietà se qualcuno la notte gli aveva scorso le reti che trovava manomesse per portar via i pesci catturati...capitava...”. Anche Vittorio, il minore dei tre fratelli aveva lavorato come pescatore-dipendente dell’avvocato Gelati; ma il periodo che meglio può connotare il personaggio non è per lui legato ai magazzini finora descritti, bensì a una “casetta”, di una sola stanza, sugli scogli di Crepatura, all’incirca dov’è ora la portineria del porto “Cala de Medici”.
- Le mangiate di pesce. Qui Vittorio teneva reti e calamenti per andare a pesca con altri amici dilettanti, seppure molto meno esperti di lui, per un unico rispettabilissimo scopo: far mangiate di pesce in allegria lì, alla “casetta”. Uomo di bell’aspetto, estroverso e gioviale, non per nulla era detto “la Pepa”. Per merito suo la “casetta” di Crepatura vide i menù più appetibili in tavolate abbondanti: cacciuccate soprattutto, ma anche grigliate, spaghetti ai favolli, alle patelle, ai ricci, alla bottarga preparati da lui, e fiaschi di vino. Sua figlia Rosella ricorda di un giorno che avevano salpato le nasse e sulla tavola, alla casetta, una stesa di aragoste: “Mamma mia quante!”.
- A tavola con Fosco Giachetti. “Quel giorno” aggiunge Rosella “Era invitato anche l’attore Fosco Giachetti”, una star del cinema degli anni ‘30 e ‘40 e ancora attore di richiamo negli anni ’60. Non meno ambite erano qui le colazioni, le merende e le mangiate di ricci. Sì, la Pepa era un personaggio e una volta si ritrovò fotografato in copertina sul settimanale “Epoca”. Allegro e pronto a fare la “burletta”, aveva chiesto più volte ai parenti che non venissero a piangere al suo funerale: “Piuttosto quel giorno raccontatevi qualche barzelletta!”, come lui era solito fare. E seppure simbolicamente, qualcuno ci provò; quando si dice: “meritare un ricordo!”.

(Claudio Castaldi per "Il Tirreno" del 25/8/2007)

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