Fascino e pericoli
dell’immersione in apnea.
Il mare guarda l’uomo in faccia, noi guardiamo il mare.
E' il sistema più semplice ed immediato, ma non per questo meno
pericoloso, di andar sott’acqua. Sono necessari maschera,
boccaglio e pinne, corredo poco costoso ed alla portata di tutte
le borse, cui si può aggiungere, quando si vogliano raggiungere
certe profondità o immergersi nella stagione fredda, una muta in
neoprene di variabile spessore, la cintura con piombi, il
profondimetro.
Tuttavia, mai come in questo caso è vero il detto che l’abito
non fa il monaco. Perché l’essenziale per la sicurezza
nell’immersione in apnea consiste nella preparazione
tecnico-psicologica e nell’adeguato allenamento fisico di chi la
pratica.
Le cronache estive sono troppo di frequente funestate da
tragedie del mare, tipiche tragedie da inesperienza e
faciloneria, ed in questo settore lo scotto pagato dagli
apneisti è estremamente elevato, di gran lunga più alto, ad
esempio, rispetto a chi si immerge con autorespiratore ad aria
compressa.
Ricordiamoci, ed è un dato statistico di recentissima
divulgazione, come nel 1978 i subacquei deceduti siano stati
400, di cui ben 380 apneisti!
Il mare, come accennavamo nel precedente numero, guarda l’uomo
in faccia, e per affrontarlo, sia in superficie che in
profondità, non basta acquistare una barca o mascherarsi da
subacqueo: è un po’ come sentirsi centauri in pista solo per
aver sui capo un colorato casco di plastica, o abili discesisti
camminando per Cortina con in spalla l’ultimo tipo di sci che
l’industria sta propagandando!
Ecco dunque che l’apnea, se limitata a pochissimi metri di
profondità può essere considerata un piacevole hobby alla
portata di molti; se spinta a livelli superiori invece (si pensi
che oggi si pesca in apnea abbondantemente al di sotto dei 15
metri, fino a superare talora i 20 metri di profondità) diviene
una severa e difficilissima disciplina sportiva, alla portata di
pochi super-esperti.
Tecnicamente un «tuffo» in apnea comprende quattro distinte
fasi.
Una fase iniziale, preparatoria, detta di iperpnea, durante la
quale il soggetto compie una serie di ampie respirazioni allo
scopo di iperventilare accumulando nel sangue la più alta
quantità possibile di Ossigeno, eliminando forti quantità di
Anidride Carbonica.
Una seconda fase di discesa in profondità, durante la quale sono
necessarie continua manovra di compensazione forzata delle
cavità paranasali ed auricolari, che devono essere costantemente
adeguate alla pressione circostante (che aumenta di una
atmosfera ogni 10 metri di profondità), per evitare dolori
facciali e lesioni o lacerazioni della membrana timpanica.
Una terza fase di permanenza alla profondità raggiunta, nel
corso della quale vengono svolte le specifiche attività per cui
la immersione è stata fatta, e che vanno dalla individuazione ed
arpionatura di pesce, alla ripresa di sequenze foto o
cinematografiche, alle ispezioni o prelievi a scopo ecologico,
scientifico, archeologico, collezionistico.
Un’ultima fase infine, quella di gran lunga più pericolosa
perché spesso avviene in condizioni critiche per l’eccessivo
consumo verificatosi nelle precedenti, che consiste nella
risalita in tempo utile: prima cioè che l’abbassamento di
Ossigeno nel sangue, unitamente al contemporaneo aumento di
Anidride Carbonica, provochi improvvisamente una perdita di
coscienza con arresto cardio-respiratorio (sincope da risalita).
Perché la sequenza delle quattro fasi descritti avvenga senza
incidenti appare dunque evidente che il grado di preparazione e
di addestramento del subacqueo apneista, devono essere accurati
e notevolissimi. Oltre alla formazione specifica, è
indispensabile altresì che l’attività subacquea in apnea venga
svolta contemporaneamente da due persone di cui una, rimasta in
superficie ad osservare continuativamente l’altra immersa, sia
pronta a tuffarsi a sua volta e portare un valido aiuto in caso
di incidente. Infatti, anche in sincope con arresto cardio
circolatorio, basta che l‘infortunato venga riportato
rapidamente in superficie perché tutto, con qualche semplice
stimolazione cutanea, torni alla normalità.
Al contrario, se l’apneista colpito da sincope resta immerso
oltre 2-3 minuti primi, incomincia una attività respiratoria
automatica per cui i polmoni vengono inondati di acqua e, al
primitivo malore si sommano i gravi danni, il più delle volte
irreversibili, di un vero e proprio annegamento.
Anche in caso di rottura del timpano, con immediata perdita del
senso dell’equilibrio e dell’orientamento e conseguente estrema
difficoltà di compiere da solo una valida risalita, il subacqueo
in pericolo potrà essere facilmente salvato dall‘intervento di
chi ne stava osservando la immersione.
Ecco dunque ben evidenti i limiti della immersione in apnea:
la pericolosità da una parte e la breve durata della immersione
dall’altra. Soltanto taluni soggetti particolarmente esperti e
dotati riescono a superare i 3-4 minuti di permanenza attiva in
profondità: segno evidente che di Maiorca e Majol ce ne sono
pochi a questo mondo e, comunque, mai improvvisati.
-Per questi motivi l’immersione subacquea profonda in apnea
riconosce oggi soltanto nella pesca sportiva la sua ragione di
sussistere. In effetti, limitatamente alle profondità
raggiungibili, l’apneista ha molte più probabilità del «
bombolista » di raggiungere inaspettatamente la preda, non
disturbata o impaurita dalla rumorosità dell’autorespiratore.
(Ferruccio Chiesa
per "La Rivista Etrusca" settembre 1979) |