A lezione dal "professore" Lazzerini «Riportiamo il calcio vero a Rosignano»
Classe 1943, prima calciatore e poi allenatore di buon livello, disse no a
Moggi, oggi è ricordato con affetto anche a Livorno dai tifosi amaranto.
Poteva aver fatto anche un'altra carriera, se solo non avesse snobbato le
convocazioni («vieni che parliamo un po'») arrivate da Re Luciano Moggi:
«Non mi sono mai raccomandato a nessuno e questa è una medaglia fieramente
sul mio petto». O se magari non avesse stracciato due o tre volte contratti
già firmati (uno col Siena quando ds c'era Nelso Ricci, ndr) perché,
insegnando, aveva timore a chiedere l'aspettativa scommettendo tutto sul
football. Non voleva rischiare, dopo la confessione che gli fece l'amico e
compagno di supercorso, Gianfranco Ventura, pure lui docente nella sua
Genova, che non aveva evidentemente ben espletato le pratiche necessarie e
si era preso pure una denuncia. È Alberto Lazzerini, allenatore conosciuto
in tutta la Toscana, ma anche nella nostra provincia. Piombino, Cecina,
Rosignano e Livorno, non in rigoroso ordine cronologico, lo annoverano nella
loro storia di club. Rosignanese doc, è un tipo che non le ha mai mandate a
dire. Noti i suoi sfoghi a fine partita, quando c'era da strigliare i propri
giocatori e minacciare qualcuno di finire alla prossima in panchina per non
aver offerto la prestazione attesa. Non era raro insomma quel «O si cambia
registro, o giochi come sai, o quello è l'uscio. Te lo dice il bimbo della
Gina». Spesso, la reazione arrivava. Eccome. Perché quando Alberto
prometteva una cosa, citando la mamma, la faceva per davvero. Meglio
mettersi al passo. Ora dà una mano al Solvay Rosignano, nuova società
impegnata in Seconda categoria «che vorrebbe far tornare questa piazza a
palcoscenici più degni della tradizione, ricreando un settore giovanile che
non c'è più ed avendo vinto il bando per lo stadio», ma rigetta il ruolo di
direttore sportivo.
Come trascorre il tempo un addetto ai lavori di un campionato fermo per
pandemia?
«Tutti i giorni faccio un po' di moto. Esco in tuta e scarpe ginniche
oppure con la vecchia mtb, sempre rispettando le regole e restando vicino a
casa. Una abitudine che conservo dal '97 subito dopo essermi ripreso
dall'infarto quando ero a Livorno. Una settimana strana quella. In pochi
giorni, il mio cuore fece le bizze e Claudio Achilli fu ricoverato in
ospedale per un pauroso incidente».
Cosa resterà dei campionati dilettantistici flagellati dalla sosta Covid?
«È un dramma. Il numero uno della Figc regionale ha fiducia in una
ripresa a gennaio, ma la vedo dura. I giocatori sono normali lavoratori, non
si può pensare a recuperi infrasettimanali. E poi i tamponi. Per la serie A,
costi sopportabili, ma non per altre realtà. Credo che molti club,
chiuderanno bottega, stretti nella morsa della crisi».
Ha allenato da tante parti. Dove le maggiori soddisfazioni?
«Non posso fare una sola citazione. E allora dico 8 anni splendidi alla
Cuoiopelli, portata dal basso fino a 1 punto dalla C1, le due salvezze in C2
col Cecina, la Coppa Italia dilettanti serie D vinta col Rosignano
nell'84/85. Per finire con le splendide esperienze con il Livorno. La
squadra per cui faccio il tifo e per la quale sono in pena. Tutti i giorni
apro il giornale e vado subito a vedere se ci sono novità societarie».
La prima sua avventura amaranto fu nel '92/'93, Interregionale, ed
esonero poi in favore di Zoratti...
«Era una squadra con qualche ballerina di troppo voluta da Achilli. Fu
brutta la partenza a Savona perdendo su rigore dopo un penalty sbagliato da
noi e rimasti in 10 per l'espulsione di Da Mommio. Poi, risultati buoni,
otto match senza mai perdere, fino a quel 2-2 casalingo con la Vogherese
recuperando il doppio svantaggio. A fine partita, m'incazzai col presidente.
Rinfacciandogli di non aver preso elementi che volevo perché era innamorato
di altri. Ci voleva gente con le palle, mentre invece c'era chi vomitava
prima di scendere in campo per il timore di giocare in uno stadio gremito.
Se la legò al dito, Achilli, e dopo lo 0-0 di Fidenza, arrivò il benservito.
Ma la rosa era quella coi difetti che denunciavo e Zoratti non aveva la
bacchetta magica. Fu secondo posto, e per fortuna, con ripescaggio in C2».
Epoca diversa. Categorie inferiori ma lo stadio pieno...
«Strapieno, direi. Poi, siamo andati in Paradiso, ma il pubblico è
diminuito. Non penso solo per via di tanti tifosi anziani che hanno smesso
di andare alla partita per motivi di salute, o colpa dei bilanci familiari
che inevitabilmente costringono a tagli sul divertimento e la passione».
Spinelli ha salutato. Con la promessa che avrebbe lasciato il Livorno in
buone mani...
«Moratti di certo non è venuto. Non ho condiviso tante critiche nei suoi
confronti, ma Aldo è comunque troppo umorale. E si è fidato sempre non delle
persone giuste. Serve competenza. Che mancava a qualcuno dei suoi più
stretti collaboratori, certamente non all'altezza del ruolo affidato. Il
calcio poi, oggi, è terreno di caccia di tanti improvvisati».
Che fine farà il Livorno?
«Da tifoso, spero che alle promesse seguano i fatti. E se fosse invece
fallimento, vorrei una nuova pagina da scrivere coinvolgendo tanti
imprenditori livornesi. Con il sindaco a stimolarla».
FLAVIO LOMBARDI il Tirreno 28/11/2020
La scheda - Insegnava a scuola poi le avventure su tante panchine
Alberto
Lazzerini da Rosignano, classe '43, 77 anni compiuti lo scorso 24
agosto, una vita nel calcio prima da giocatore e poi da allenatore.
Chiamato anche il "professore" per aver insegnato a scuola la materia di
applicazioni tecniche, professore lo è stato anche in panchina con le
sue squadre sanguigne, raggiungendo importanti traguardi con Cuoiopelli,
Rosignano, Cecina. Indimenticato tutor di Stringara sulla panchina
amaranto nella finale playoff di Reggio Emilia contro la Maceratese, Dg
nella stagione che si concluse con la beffa di Perugia e segnà l'inizio
della fine per Achilli. (f.l.)
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