Da Il Tirreno e siti Internet
diversi
Dai macchiaioli agli impressionisti il percorso del
pittore. Cantore della bellezza femminile, si apre a Castiglioncello la
grande mostra a lui dedicata
. Burbero era di carattere, la
mondanità sfavillante della Parigi di fine Ottocento era lontana dal
suo spirito schivo. Nella città centro del mondo artistico
internazionale, reduce dal chiacchierato esordio degli Impressionisti da Nadar dove espose un italiano già affermato, Giuseppe De Nittis,
Zandomeneghi faticava ad integrarsi. Questo veneziano introverso, che
diverrà cantore di una bellezza muliebre discreta, fatta di sguardi
dimessi e ambienti raccolti, restò estraneo all’alta società
parigina dove Giovanni Boldini era di casa.
Abbastanza orgoglioso per non tornare in patria da perdente
imboccherà una personale via impressionista dopo esitazioni e
ripensamenti. L’amico Diego Martelli nel suo soggiorno parigino lo
inviterà ad aprirsi alle tendenze più avanzate della pittura francese
e lo introdurrà all’amicizia con Degas. Nella tenuta del critico a
Castiglioncello, nei primi mesi del 1874, Zandomeneghi maturò il
desiderio di recarsi a Parigi, attratto dal naturalismo di Breton e
Bastien-Lepage. La vicenda artistica che si dipana nei decenni
successivi si può seguire in più di sessanta dipinti in mostra da
domani alle 18 al Castello Pasquini. “Dai Macchiaioli agli
Impressionisti. Il mondo di Zandomeneghi”, è un percorso inedito che
ricostruisce la vicenda umana e artistica di Federico Zandomeneghi
(1842-1917). La mostra (la prima che la Toscana dedica a Zandomeneghi)
promossa dal Comune di Rosignano, insieme al Centro per l’arte Diego
Martelli e in collaborazione con la Galleria d’arte moderna di
Firenze, rappresenta la quarta tappa di un percorso iniziato nel 2001,
che attraverso mostre monografiche (già dedicate ad Abbati, Sernesi e
Lega) e a tema, ha inteso esplorare aspetti ancora sconosciuti del
movimento macchiaiolo ed i suoi legami con Castiglioncello.
La ricontestualizzazione puntuale della curatrice Francesca Dini ne fa
una figura di collegamento prima tra la pittura di macchia e il
colorismo veneto e poi, secondo l’intuito di Martelli, tra i
Macchiaioli e l’impressionismo francese. Quattro sezioni documentano
il suo cammino pittorico fino al cromatismo più libero di stampo
impressionista, la condivisione del rigore disegnativo di Degas, di
ascendenza italiana, e gli insegnamenti al giovane Toulouse- Lautrec. La
prima tappa ricostruisce il rapporto di Zandomeneghi con la scuola di
Piagentina e con le opere della solare stagione di Castiglioncello - per
tutte la “Marina” di Sernesi - dove il pittore aveva ritratto Teresa
Fabbrini ne “La lettrice”.
Zandomeneghi partirà poi per Parigi, da cui non farà più
ritorno. Qui, tra difficoltà economiche ed incertezze sulla nouvelle
peinture, tra il 1876 e il ’78 matura la svolta di Zandomeneghi,
dalle prime pennellate filamentose “alla Pissarro” ai tagli
compositivi originali. La riassumono lo splendido “A letto” (1878)
di cui viene esposto il disegno preparatorio, e la vivacità cromatica
di “Le Moulin de la Galette”. A Parigi Martelli lo introduce in
società dove incontrerà Degas, amico e compagno di strada per molti
anni. I pezzi di Pissarro, Gauguin, Maureau e De Nittis sostengono il
collegamento della sua pittura con i francesi. La terza sezione
raccoglie i capolavori del periodo impressionista, che l’artista
espose con il gruppo parigino dal 1879 fino al 1886 - significativa la
“Donna che si infila una calza” di Degas - quando iniziò a
frequentare Lautrec e Guillaumin. Il nucleo finale riunisce i pezzi più
noti di Zandomeneghi.
Federica Lessi
Il
mondo di Zandomeneghi
Castiglioncello Castello Pasquini
mercoledì
4 agosto 2004
Né
dee, né femmine. Ma signore e signorine. Magari di buona famiglia. È
l’universo di Federico Zandomeneghi, italiano a Parigi, amico di Macchiaioli
ed Impressionisti. Pittore della vita moderna pure lui, raccontata con una
pennellata spumeggiante e leggera…Artista amato e amabile Federico Zandomeneghi è tra i pittori italiani
dell’Ottocento che hanno goduto di maggiore fortuna: amico dei Macchiaioli e
degli Impressionisti, Italien de Paris ante litteram, pittore di
successo. Rampollo di una famiglia di artisti, Zandomeneghi si misura con il
realismo analogico dei Macchiaioli, rimane affascinato da Silvestro Lega
(molto efficace in questo senso il confronto fra le tele de I fidanzati)
ma subisce anche il fascino di un realismo di più forte impatto, come quello
di Michele Cammarano che nei suoi toni cupi e drammatici e nella
pastosità del colore evoca la pittura caravaggesca o quella spagnola.
La seconda sala annuncia il cambiamento e l’incontro con il mondo parigino:
qui si ritrovavano a vario titolo numerosi artisti e critici italiani, in
primis Giuseppe de Nittis –rappresentato in mostra da un Sulla
panchina al Bois delizioso- e soprattutto Diego Martelli che
cercherà poi di favorire la conoscenza dell’impressionismo in Italia e che
fornì a Zandomeneghi un appoggio fondamentale per farsi conoscere.
E sarà proprio Diego Martelli ad acquistare nel 1878 A letto, rimasto
invenduto all’Esposizione fiorentina, e soprattutto criticato per la
volgarità e per l’eccessivo realismo, laddove proprio la diagonale è un
espediente per coinvolgere lo spettatore e la scena coi suoi colori si
presenta come “un magico ventaglio di pennellate” capace di unire le
radici veneziane alla moda giapponese.
Le Moulin de la Galette e Caffè Nouvelles Athènes sono opere che
attestano una prima maturità e che delineano i futuri sviluppi della pittura
di Zandomeneghi: la vita moderna, i caffè e le strade, le nuove
donne… Proprio questa sensibilità verso l’universo femminile diventa la
sua cifra distintiva: una produzione vastissima che coniuga compostezza
formale, raffinatezza cromatica e eleganza. La familiarità con Degas e Lautrec –che ne condividono l’appassionata descrizione
dell’universo muliebre- lo rende disponibile a tagli compositivi inusuali e
movimentati. Tra le opere presenti in mostra – riflesso di una produzione
vastissima grazie al contratto che lo lega al mercante Durand Ruel –
segnaliamo Colloquio al tramonto, una descrizione di confidenze
femminili che ha degli accostamenti di colore ancora una volta squisiti, e la Bambina
dai capelli rossi, assorta nella lettura come quella fanciulla in abito
bianco dipinta quasi quaranta anni prima in Toscana. Esempi entrambe –a
distanza di tempo- di una femminilità borghese, educata, che ancora oggi non
smette di sedurre.
Silvia Bonacini 20 luglio 2004
ZANDOMENEGHI DI NUOVO A CASTIGLIONCELLO
Una stimolante Mostra intitolata -Dai Macchiaioli
agli Impressionisti - Il mondo di Zandomeneghi-
Dal 17 luglio al 31 ottobre
Dal 17 luglio al 31 ottobre 2004 le magnifiche sale del Castello Pasquini di
Castiglioncello ospiteranno la prima mostra che la Toscana dedica a Federico
Zandomeneghi (Venezia 1842 – Parigi 1917).
Curata da Francesca Dini e realizzata sotto l’Alto Patronato del Presidente
della Repubblica, la manifestazione ripercorre, in maniera inedita, il
particolare itinerario artistico che condusse Zandomeneghi, dalla formazione in
ambiente veneziano, alla condivisione delle contemporanee ricerche toscane, al
profondo interesse per le tematiche naturalistiche fino alla significativa
partecipazione, unico fra gli italiani, alle esposizioni parigine degli
Impressionisti.
L’esposizione si propone di documentare le vicende umane ed artistiche che
portarono Zandomeneghi a coniugare il colore della grande pittura veneta,
assimilato nell’ambiente artistico familiare, con il rigore formale della
tradizione toscana (apprezzato attraverso il sodalizio con gli amici Macchiaioli
ed il grande Degas) ed il cromatismo, spregiudicato e vibrante,
dell’Impressionismo francese, approdando ad esiti che, talvolta, preludono
alle soluzioni formali postimpressioniste, anche quelle più anticonformiste.
La sua pittura, scevra dell’aggressività talentuosa e dei compiacimenti
virtuosistici di un Boldini, sembra piuttosto coniugare la modernità dei tagli
di Degas ai preziosismi cromatici di Renoir riuscendo, tuttavia, a proporsi
assolutamente nuova e originale. E ciò quale conseguenza del lungo, coerente
percorso di un artista capace di sopportare il peso di scelte estetiche e di
vita spesso ardimentose. Come quella, ad esempio, di lasciare la città natale,
Venezia, rinunciando ai vantaggi che gli sarebbero derivati dalla notorietà
della sua famiglia di celebrati scultori (il nonno, Luigi, era stato intimo di
Antonio Canova ed il padre, Pietro, aveva portato a termine il monumento a
Tiziano, nella Chiesa dei Frari).
A causa dei suoi ideali anti-austriaci il diciannovenne Zandomeneghi lascia
Venezia per Milano e, poi, per Firenze, dove giunge nel 1862 dopo aver
partecipato ad una delle spedizioni di supporto ai Mille di Garibaldi e dopo
aver terminato gli studi all’Accademia di Brera. I suoi esordi artistici
avvengono, pertanto, in seno ai Macchiaioli, dei quali condivide le lunghe
lotte, gli ideali estetici e quelli patriottici. La mostra allestita a
Castiglioncello si propone, quindi, di ricontestualizzare il percorso
dell’artista partendo proprio dagli anni italiani, spesso ignorati per le
difficoltà di reperirne le opere più significative.
Articolata in quattro sezioni, l’esposizione analizza, inizialmente, le
inevitabili suggestioni e concomitanze con l’attività di altri artisti,
inclusa la parte iniziale del soggiorno parigino. Successivamente vengono
analizzati i rapporti con Diego Martelli, la "svolta" impressionista e
l’inizio dei duraturi rapporti, di consuetudine e di amicizia, con Edgar
Degas. La terza sezione raccoglie alcuni degli splendidi dipinti nati nel clima
di adesione al movimento impressionista francese mentre l’ultima, nelle sue
due sale, raduna i capolavori della produzione più conosciuta dell’artista,
fin quando egli non perviene ad una "cifra" propria in cui la sintassi
espressionista ritrova la pienezza classica, tutta italiana, della forma.
Il catalogo, a cura di Francesca Dini, segue l’iter artistico del pittore ed
include saggi di Cosimo Ceccuti, Piero Dini e Carlo Sisi, con una testimonianza
di Anna Toniolo, nipote dell’artista, e corredato da schede critiche di
Rossella Campana.VALERIO S. PROVVEDI
Da
macchiaiolo a impressionista. A Castiglioncello, a Palazzo Pasquini, una
mostra ripercorre la carriera di Zandomeneghi
Prima, macchiaiolo, quando il sentimento della
"macchia" era animato da spirito umano e patriottico. Poi,
parigino, quando il pennello si cominciava ad "inzuppare del succo
della vita". Ancora dopo, impressionista, quando finalmente conquistava
il suo moderno umanesimo, la sua ville lumière, fatta di realtà urbane,
scorci domestici, un clima frizzante e mai immobile. Infine, Zandomeneghi e
basta, oramai solido e personale, con una sua cifra stilistica, dove
l'euforia impressionista si fonde con il caldo cromatismo della cultura
veneta, con la saldezza delle forme e con l'originalità del taglio
compositivo. Sono queste quattro fasi della vita artistica del veneziano
Federico Zandomeneghi ad essere protagoniste della bella retrospettiva
ospitata al Castello Pasquini di Castiglioncello, fino al 31 ottobre,
raccontate attraverso una sessantina di opere provenienti da raccolte
pubbliche e private, cui si affiancano in alcuni episodi di affinità
elettive dipinti di "amici" italiani e francesi. Giochi di
dialoghi stilistici che s'intrecciano tra il veneziano e Sernesi, Lega,
Abbati, Pissarro, Gauguin, Maureau, De Nittis, Armand Guillaumin.
E' la prima monografia toscana dedicata al maestro, per giunta accolta a
Castiglioncello, culla, insieme a Piacentina, della scuola macchiaiola dove
Zandomeneghi è maturato, e dove ha trascorso nel 1874 un lungo soggiorno
nella villa del critico Diego Martelli, che riuscì a mitigare le asperità
del suo carattere e a farlo aprire alle tendenze più avanzate della ricerca
francese. Dopo la recente esposizione di Milano, ancora un assolo, dunque,
per Federico Zandomeneghi, Zandò per gli amici di Montmartre, l'altro
italiano adottato se non divorato da Parigi. Il "vénitien", come
si divertiva a chiamarlo Degas quando cominciò a vederlo frequentare la sua
cerchia, ha sempre goduto di una fama collettiva, inserito nella triade di
pittori italiani, con Giuseppe De Nittis e Giovanni Boldini, che negli anni
Settanta dell'Ottocento lasciarono la patria per intraprendere l'avventura
parigina, sposando il credo Impressionista. Ma, allo stesso tempo,
apostrofandone l'insuccesso rispetto al plauso immediato riscosso dagli
altri due. Causa, forse, quel caratteraccio burbero e introverso, restio
alla trasfigurante mondanità bohemièn che guardava a distanza e filtrava
attraverso la sua tela.
In mostra, dunque, ci sono gli anni italiani, tra la formazione nella
natia Venezia e la crescita artistica a Firenze. Tappe fondamentali che
schiudono poi la lunga produzione francese, tanto da essere poi definito
dagli storici "impressionista veneziano", per quella componente
genetica lagunare, capace di amplificare la sensibilità luministica nei
confronti della natura, così come era avvenuto per lo stesso Monet, e anni
prima per Turner, trasfigurati profondamente dal soggiorno nelle bella
Venezia. A Venezia, dove nacque nel 1841, figlio e nipote di accademici, dal
'57 al '60 Zandomeneghi frequenta l'Accademia di Belle Arti alla Carità
Nuovi, tra il genio colorista di Tiziano e quello algido di Canova. Poi, la
scelta di partire per Firenze, certo motivata da questioni politiche - come
altri artisti della sua generazione, partecipa a una spedizione garibaldina
- che però gli rivelano le esperienze pittoriche nuove della macchia, tanto
da appassionarsi al naturalismo di Francesco Gioli.
Del soggiorno a Castiglioncello, c'è "La lettrice", del 1865,
piccolo capolavoro costruito per contrasti cromatici di "macchie"
solari, che trasmettono l'incanto dell'assolata primavera maremmana, che fa
ideale pendant con la celebre "Marina" di Raffaele Sernesi. E
ancora, un degno confronto viene da "Gli innamorati" di Zandò
(1866) attraversato da un'aura di romanticismo cromatico con le figure in
una posa apparentemente casuale e insolita, emergono dalla penombra e si
stagliano contro il cielo dorato, in simbiosi con "I fidanzati" di
Silvestro Lega. Dell'amicizia con Martelli parla splendidamente il famoso
ritratto "allo scrittoio" realizzato da Zandò nel '70, da Palazzo
Pitti. Il critico dei Macchiaioli è colto nell'intimità del suo studio,
nella veste da camera, una berretta in capo per il freddo, circondato di
carte e scartoffie, non rivolge nenanche lo sguardo verso lo spettatore,
tutto intento nella sua contemporanea azione. Forte di colorismo luministico
alla veneziana e tonale alla macchiaiola, forte di spirito risorgimentale e
di rinnovamento, forte dell'idea di una realtà da cogliere in presa diretta
e di una sincerità spassionata, forte di tutte queste componenti sbarca a
Parigi, nel 1874, trentatreenne.
Dalla sua entrata nel "ventre di Parigi", parte la seconda
sezione espositiva, che vuole lanciare spunti di riflessione su un maestro
che fu l'"impressionista veneziano" contestualizzato nel più
ampio panorama europeo gravitante su Parigi. Un percorso che parte da
"Sobborgo parigino" del 1876, concepito nelle pennellate
filamentose "alla Pissarro" - presente tra l'altro in mostra con
"Il taglio della siepe" del '78 - e col risoluto taglio diagonale
della scena. Manifesto della conversione alla piena estetica della nouvelle
peinture è "Le Moulin de la Galette" del 1878 che evidenzia il
cambiamento di stile in atto di Zandò, o almeno la tensione a farlo:
l'ambizione all'ampio formato, la volontà di ritrarre una "tranche de
vie" rappresentativa dei costumi come un vero "quadro di
storia" contemporaneo, come aveva già fatto Renoir. Ma, soprattutto,
richiama all'attenzione l'influenza del grande Edgar Degas, personalità
chiave che catalizza la svolta stilistica di Zandomeneghi. E, ancora, opera
che nella sua straordinaria modernità, prelude a quegli esiti
post-impressionisti. E la sensuale "A letto" del '78, per la prima
volta esposto accanto allo studio preparatorio "La dormiente".
C'è tutto, la posa spregiudicata della donna fra le lenzuola sporche del
letto sfatto, la disinvoltura del taglio scenico, il gioco dei colori nelle
ombreggiature azzurrine della biancheria, e il japonisme nella decorazione
delle pareti e della coperta.
Sfilano gli anni Ottanta registrati da dipinti in cui Zandomeneghi
condensa la sua personale adesione al movimento impressionista. C'è tutta
l'amicizio con Degas e con Toulouse-Lautrec. Ci sono tutti i preziosismi
cromatici e compositivi. Di Degas è l'uso speculativo e sistematico del
pastello, un impasto cromatico asciutto, un disegno continuo e sintetico, lo
sguardo disincantato verso il costume sociale della città moderna, senza
giudizio né indulgenza narrativa, affidando il racconto di contenuti
scabrosi alla sottile ambiguità dei valori formali. Ne è testimonianza
"Coppia al Caffè" del 1885. Ma sono gli anni in cui comincia a
sperimentare la tecnica puntinista, traducendo la macchia in piccoli atomi
distinti e vibranti di colori. Linguaggio che usa per opere stilisticamente
più ardue, che attingevano al repertorio di "volgarità" e
"sdolcinature", con le ballerine, che nella grazia delle pose
lasciano trapelare gracilità fin troppo acerbe o allusioni promiscue alla
prostituzione giovanile. "Al Caffè della Nouvelle Athènes",
"Il violoncellista", "La toilette",, "Le calze
nere".
Infine gli anni Novanta, caratterizzati da una produzione intensa,
raffinata ed elegante, dove le audaci volgarità cedono il posto alle pose
aggraziate e composte, dove i soggetti si equilibrano all'insegna della
femminilità sobria e vezzosa e dell'adolescenza pura e incontaminata, dove
i colori si infuocano e le intimità si rilassano avvolte da sentimenti più
lirici che carnali. Emergono tutti i contatti con Renoir, Degas, e
Toulouse-Lautrec. Proprio con l' "Hommage à Toulouse-Lautrec"
realizzato l'anno della sua morte, 1917, si chiude idealmente il percorso.
Opera chiave perché è un ricordo dell'amico scomparso all'alba del nuovo
secolo - infatti alle spalle di una donna dall'ampia veste scollata rosa
ciclamino, si vede il manifesto di Lautrec - ma è anche una finestra che
Zandò spalanca sulle ricerche contemporanee: nell'accattivante posa
emancipata, la donna evoca i ritratti straordinari di Gistav Klimt e le
atmosfere della Secessione viennese. (Laura Larcan)
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