A Firenze, La
Pira è riuscito a formare la Giunta e con
lui sono di nuovo i piagnoni che
tornano al potere. Da un punto di vista
strettamente democratico, è giusto, perché
piagnone è il fondo di questa città.
dove l`elemento pallesco è sempre
stato allogeno, anche se poi s'assimilava e
dominava. Ai tempi di Dante i milionari
goderecci scendevano da Fiesole, fruscianti
di sete e ingualdrappati di velluto, e
conquistavano il Comune erigendo ville
principesche, assoldando pittori per
affrescarle e convitando gl'indigeni a
pantagruelici
banchetti. Al giorni nostri, essi calano da
Prato e invece di proteggere le arti,
proteggono il gioco del calcio. Enrico
Befani, presidente della Fiorentina, e`il
loro Medici. E siccome viene dall'industria
tessile, è proprio il caso di dire che ne ha
la «stoffa»
.
Fuor di Toscana il suo nome forse non è
molto noto. Egli stesso tira a
lasciarlo nell'ombra e infatti credo che non
sarà punto contento di vederlo a cappello di
un articolo. A differenza dei suoi
predecessori del Rinascimento, gran maestri
di regia e versati nell'arte della
pubblicità, egli fugge la luce, detesta Il
clamore e predilige l'anonimato. Non lo
incontrerete mai in un ritrovo elegante o su
una spiaggia di moda. Non lo vedrete mai a
bordo di uno yacht o di un'automobile
americana. Non Io udrete mai pontificare in
mezzo a un coro di cortigiani. La sua casa
non somiglia nemmeno di lontano a un
palazzo; La sua famiglia è ordinata e
patriarcale. Di sussiego e fasto
nemmeno l'accenno. Ma neppure queste
precauzioni lo hanno tenuto al riparo dalla
popolarità, anzi hanno raggiunto l'effetto
opposto: quello di alimentare una leggenda.
Un po' come Rizzoli a Milano, di cui si dice
che quando assolda una zucca la fa diventare
un genio e quando tocca un sasso lo tramuta
in oro (ma Milano si presta poco a queste
concezioni miracolistiche), il Befani a
Firenze, è diventato sinonimo di panacea.
Quali sortilegi e stregonerie abbia
compiuto, nessuno lo sa con precisione. Si
parla vagamente di colpi favolosi, di
sorprendenti «trovate»,
di Waterloo trasformate in Austerlitz, con
un semplice tocco della sua magica
bacchetta. Ma anche chi assicura di saperla
lunga su questi soprannaturali fenomeni, in
realtà la sa cortissima e non riesce a
fornire particolari. Mi domando perfino se
egli sia veramente ricco come dicono. Forse
no. Forse l'unico suo vero patrimonio è
l'illimitato credito di cui gode., se non
proprio nelle Banche, certo nella pubblica
opinione e che deve venirgli sì, da un
collaudato successo negli affari, ma anche
dal reverenziale rispetto che i fiorentini
hanno sempre avuto per chi ne fa. Perché a
Firenze di veri e propri «affari» si
smise di farne nel Cinquecento. Da
allora
non si fanno più che «baratti»›.
E s'è dovuto aspettare l'avvento dei
pratesi per rinverdire la grande tradizione
mercantile del Rinascimento. I palleschi
oramai vengono di lì. Per meglio assimilarsi
investono i loro quattrini in terre, cui i
discendenti si affezionano.
E dopo un paio di generazioni, eccoli a loro
volta piagnoni, dediti al baratto e
clienti di La Pira.
Che questo stia per capitate anche alla
dinastia dei Befani, quando l'attuale
fondatore avrà lascialo il bastone del
comando, non potrei giurarlo. Quel che posso
giurare è che la successione mi sembra
parecchio lontana, visto che Enrico ha
quarantasei anni appena, ne mostra dieci di
meno e non trascura nulla per arrivare ai
cento. Nulla: neanche le vacanze, che ogni
anno si concede a vasto raggio e
viene a trascorrere a Castiglioncello, con
la ferma volontà di goderne tutti i
benefici e di metterli a profitto.
Castiglioncello è una scogliera tranquilla,
che per ora vittoriosamente resiste ai
criminali tentativi di «modernizzazione».
Se non ci fosse. a frastornarla quella
maledetta Via Aurelia, che le nostre
autorità pervicacemente ai rifiutano di
dirottare fuori dei paesi che attraversa
in modo a garantir loro un po' di pace,
sarebbe rimasta quella dl Fucini e di Corcos
e non vi si eleggerebbe nemmeno la solita
immancabile miss. Ma Befani ha eluso I'
inconveniente comprandosi una villa fuori
dall'abitato, completamente isolata e a
picco sul mare. Ed è qui che l'ho trovato,
brunito dal sole, maculato di catrame, e
intento a sorvegliare, su di una barca
dondolante sullo sciabordio delle onde, con
un occhio i pesci che non volevano abboccare
e con l'altro i quattro figlioli che
prendevano il bagno.
Ha l'impalcatura fisica del proconsole
romano, come la statuaria ce lo lascia
immaginare, ma per fortuna non lo sa. Alto e
di atletiche spalle con due bellissimi occhi
verdi sotto la folta e nera chioma, egli
nasconde abilmente quel che di prepotente e
perentorio ci dev'essere nella sua natura
sotto un manto di aperta e franca
cordialità. «Oh, è Lei! mi fa
festosamente, avvolgendomi di uno sguardo in
cui trapela un po' di deluso disprezzo per
la mia magrezza. Poi come se non avessi
pareri da esprimere ne consensi da dare In
proposito, grida, rivolto a una finestra
della villa: «Niobe!... Un altro posto a
tavola: c`è un amico!...».
E sta per rituffare la lenza in mare,
quando si ferma e torna a guardarmi
insospettito. «Perché Lei è venuto qui come
amico per fare il bagno, eh? non come
giornalista, per parlarmi della
Fiorentina. Io della Fiorentina
non voglio parlare, specie coi
giornalisti... Noe., noe.. noe.. sono in
vacanza... Eppoi, guardi, della
Fiorentina non ne posso più. M'hanno
fatto diventar matto, in questi sei anni
che ne sono stato il presidente. Ma che gli
pare!.. io
quando accettai la carica, credevo che
bastasse dedicarle qualche ora della
settimana, il sabato... E invece mi sono
accorto che qualche ora della settimana me
ne avanza, solo il Lunedì per dedicarla al
lavoro e alla famiglia... No, no, basta con
la Fiorentina. Ora che ha vinto il
campionato, vada per la su' strada, io vo
per la mia.., Vero, Niobe? . Richiamata alla
finestra dall'urlo del marito, la signora
Niobe, che i castiglioncellesi chiamano «la
sora Niobe»,
non risponde nulla a Enrico. Si limita a
guardarlo con aria indefinibile. Poi chiede
accennando a me: «E' un giocatore venuto per
il reingaggio?».
«No, gli è il
Montanelli!»
risponde lui con
accento gioioso, convinto di rassicurarla.
«Poveri noi!
»
commenta sua moglie sbattendoci in faccia la
persiana.
Guardo il Befani che mi guarda mortificato e
poi fa: «Ha visto?... Sempre così, da sei
anni. E' una moglie d`oro, una mamma
impagabile, una compagna.. Siamo sposati da
ventitre anni. oh!.. Ma il gioco del calcio
non lo digerisce»...«E
io che c'entro?»
«C'entra perche al tempo delle elezioni
scrisse sul giornale che i fiorentini mi
avrebbero fatto anche sindaco, per i miei
meriti di presidente..»,
«E' vero».
«No, non è vero. Ma anche se lo fosse, la mì'
moglie non I'accetta. Una donna d'oro, una
mamma impagabile, una compagna... Ma il
gioco del calcio non le va giù. Anche di
forza, anche con gli strattagemmi ho cercato
d'affezionarcela portandola a vedere gli
allenamenti... Nulla... Avevo voglia di
raccomandare a Julinho e a Montuori di farle
vedere tutti i numeri del loro repertorio...Perché
come repertorio quei due... eh?... Ora. via,
non Io dico per valorizzare i miei acquisti.
Ma Julinho e Montuori, quando dicono di
giocare al loro meglio?... Li ha visti mai
quando dicono di giuocare al loro meglio?...
Non è più neanche sport. ne convenga. Siamo
nel minuetto, nel Boccherini... Quel
gingillo di tacco, quello svolazzio di
libellule.., o che sono atleti quelli? Le
son ballerine da danza classica...».
Si ferma a mezzo di un gesto di rapimento. E
mutando improvvisamente tono di voce e
espressione di viso, annunzia perentorio e
categorico: «Ma ora basta, eh? Ora che la
Fiorentina ha vinto il campionato, vada
per la su' strada, io vo per la mia
»..
Alzo istintivamente lo sguardo alla finestra
di pocanzi: la signora Niobe vi si è
riaffacciata e mi sorride con espressione
cordiale. «Come sta a stomaco, signor
Montanelli?».
«Bene, Perché?».
«Allora,
una zuppina di pesce...
».
«E' il mio debole».
«C' è».
Il suo volto sottile, illuminato da due
occhi acuti e furbi scornpare, ma per
riapparire subito dopo. «Enrico, gliel'hai
annunciato al Montanelli, che vuoi dar le
dimissioni da presidente?».
E, rivolgendosi a me: «Oramai le dovrebbero
essere mature, perché ci pensa da sei anni:
dall'indomani dell'elezione»...
E ci risbatte in faccia la persiana.
Guardo il Befani che mi guarda mortificato e
poi fa: «Ha visto?.. Lo sanno tutti che
voglio dar le dimissioni e tutti ci credono
meno lei..E' una moglie d'oro, una mamma
impagabile, una compagna... Ma alle
dimissioni non ei crede. Ora, è vero, non le
ho date. Ma come
potevo farlo, prima di aver condotto la
squadra alla conquista dello scudetto? Mi
dica lei: come potevo farlo?...Una volta che
i tifosi mi avevano avuto fiducia,
io questa fiducia dovevo ripagarla: sì o no?.. E in che modo
potevo ripagarla, se non vincendo il
campionato? Non che questa vittoria, badi,
sia merito mio.
Ci hanno collaborato tutti, dirigenti e giocatori... Ma insomma...Eppoi, vede, le donne fanno presto
a dire: dimissioni! Dimissioni!... Siamo omini
anche noi, abbiamo un cuore, ci s'affezíona.
E quando si vede undici giocatori come quelli nostri... Ma li
ha visti Lei, quando dicono di giuocare davvero?... Ora, via, non
faccio per dire: ma che è calcio, quello? La
tessitura di quella manovra, l'eleganza di que'
palleggi, la fusione de' reparti, l'intesa fra òmo e òmo....'Un
è
neanche questione di vincere, di
segnare goal, di fare punti... E'
questione d'eleganza. S'intende che non
tutte le domeniche si
rimane allo stesso livello: qualche volta si
piglia anche Io
sdrucciolone... Ma quando s' imbrocca la giornata, si va diritti
alla sinfonia, al Beethoven... Merito
soprattutto del Bernardini,
eh?.., Perché il Bernardini un è
un allenatore, gli è un poeta del
calcio. Sotto la su' ispirazione, il
gioco diventa un endecasillabo,
trova subito il ritmo e la rima...E quando capita, ne
convenga,
un po'' di soddisfatto orgoglio
anche il povero presidente è giusto che lo provi... Dimissioni!...Fanno
presto. la donne. a dire:
dimissioni!..
».
«Allora, non le dà?
».
No - ribatte lui, stizzito. --
ora posso darle. La squadra ha vinto lo
scudetto. Io ho ripagato la fiducia che i
tifosi mi avevano concesso eleggendomi
presidente. Ognuno può riprendere la su'
strada: la
Fiorentina, quella del campionato; io,
quella del mi' mestiere che da sei anni
trascuro... Posso darle anche oggi, se
voglio, le dimissioni; che ci sto a fare?...
Anzi, le cariche è meglio lasciarle
all'indomani di
un successo... Io, capirà, fo un affare
dando le dimissioni con lo scudetto cucito
sulla maglia...».
«Allora, le dà'?
».
Befani mi fissa corrucciato. «Ma che parlo
turco, io?».
Esplode alla fine brandendo minacciosamente
un remo, - Le ho dello che posso darle anche
oggi, se voglio. Me si fa presto a dire:
dimissioni!... Dimissioni!...Lei ragiona
come la mi moglie... Una donna d'oro, una
mamma impagabile, una compagna... Ma perché
non se l'è sposata Lei visto che ragionate
allo stesso modo?... Queste famose
dimissioni, poi, quando le ho date..».
E nei suoi bellissimi occhi verdi leggo,
sottolineato da un'espressione di terrore il
seguito della frase: «Cosa faccio? Come
impiego le mie giornate?».
Ma si trattiene e volgendosi verso la
finestra, grida a squarciagola:
«O Niobe, ma allora questa zuppa di
pesce... Son quasi le due!...». «E '
pronta!» replica di dentro la signora senza
affacciarsi. «Andiamo!» fa il
Befani rimettendosi ai remi per accostare.
Ma si ferma e, fissandomi con sguardo
perentorio: «Oh, intendiamoci: Lei si siede
alla mia mensa per mangiare il cacciucco,
eh? non per parlarmi della
Fiorentina... Perché io della
Fiorentina non voglio parlare. Noe, noe,
noe, sono in vacanza... Ora che ha vinto il
campionato, vada per la su' strada, in vo
per la mia. Basta con la
Fiorentina!... Perché la
Fiorentina vede..».
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