I vecchi maestri dell’arte della pesca
Quasi non ci si fa più caso, ma lungo la passeggiata a mare da
Crepatura al Porticciolo, lungo i muri a leggero barbacane che
chiudono i terrapieni dove la costiera s’innalza, via via si trovano
una decina di portoni vecchi o comunque della foggia originaria,
chiusi ormai da parecchi anni.
Altri si vedono raramente aperti su vani ad uso di rimessaggio
balneare ed altri ancora che, con serramenti adeguati, si aprono
oggi su esercizi commerciali di vario genere. Due scomparvero alcuni
decenni fa, in seguito alla demolizione delle strutture a cui
appartenevano, per far largo alla gradinata di “via della caletta”,
quasi all’inizio della passeggiata a mare, lato Rosignano Solvay.
Fondi scavati nella roccia. Per via della costiera, a volte a picco,
a volte digradante, i fondi a cui danno accesso questi portoni
risultano più o meno o scavati nella roccia e perciò dotati solo di
una o due finestrelle, quasi al soffitto, a volte nessuna. In
origine, pavimentati a cemento, mantenevano una fresca umidità
salmastra. Questi locali, che presero il nome di “magazzini”,
vennero fatti costruire, nella maggior parte dei casi, dai
proprietari delle ville retrostanti o delle vicinanze. L’impiego per
cui sorsero era di rimessaggio nautico privato, ma al contempo i
proprietari assumevano alle loro dipendenze un pescatore cui
affidavano la barca e che dotavano, dietro sua indicazione, delle
adeguate attrezzature: reti palamiti e calamenti di vario genere; e
non solo per assicurarsi il pesce fresco, ma anche per partecipare
loro stessi ad alcune battute di pesca.
- I pescatori-dipendenti. Ugualmente, il pescatore poteva
condurli a far gite in barca con la famiglia, magari in visita ad
amici che abitavano lungo costa (gran belle barche, veri capolavori
dei maestri d’ascia di cui si è persa l’eredità professionale).
Siamo negli anni Venti e fra questi pescatori-dipendenti, quasi
nessuno aveva mai posseduto una imbarcazione: i più erano diventati
dei bravi pescatori andando in mare fin da bimbetti con gente del
mestiere. E siccome i primi pescatori di Castiglioncello sono stati
i Simoncini (già negli ultimi decenni dell’800) avvenne che anche i
primi a fare i pescatori-dipendenti appartenessero a questa
famiglia.
- La famiglia Fanucci. Da parte di madre: Natale, Ezio e
Vittorio, figli di Ida Simoncini ed Egidio Fanucci, livornese, un
tipo dall’aspetto vigile e disinvolto, tanto che, pur essendo
scaricatore di porto, lo chiamavano ‘il dottore’. I tre fratelli
praticarono questo mestiere fin dalla loro gioventù e, in seguito,
quando trovarono un altro lavoro, mantennero comunque un legame con
la loro precedente attività di pescatori. Fino da anziani
continuavano perciò a frequentare quei magazzini di pesca, diventati
ormai una caratteristica locale di cui la miglior fioritura si può
datare fra l’ultimo dopoguerra e la metà degli anni ’60. Ed è
proprio in questo periodo che vale ritrovare nostri tre iniziatori.
- I tre fratelli. Uno alla volta. Natale, detto Natalino, a
Portovecchio continuava a frequentare il magazzino di Angiolo
Faccenda, castiglioncellese, persona signorile e benevola. Il sor
Angiolo ospitava anche altri pescatori dilettanti. Era anche un
piacevole affabulatore e nei lunghi pomeriggi estivi intratteneva
spesso amici villeggianti che si fermavano volentieri lì al fresco
per conoscere storie di pesca e di paese; lui li assecondava di buon
grado chiamando ogni tanto Natalino a dar conferme o rinverdire un
ricordo.
- In barca con Natalino. Anche parecchi ragazzi bazzicavano
lì, a farsi prestar lenze e calamenti; ma poi, se volevano prendere
un pesce ‘che si rispetti’ dovevano andare in barca con Natalino.
Natalino era un sicuro conoscitore dei cambiamenti del tempo: un
pomeriggio d’estate col mare piatto e un sole che spaccava le pietre
giunse dal lavoro quasi di corsa, si guardò intorno ed esclamò
risentito agli amici di pesca: “O ragazzi, ma non avete ancora
salpato le reti?” E quelli si guardarono in modo interrogativo a
chiedersi perché avrebbero dovuto farlo: “Ma come” soggiunse il
pescatore: “Guardate laggiù” indicando una particolare conformazione
meteorologica che lui scopriva all’orizzonte: “Non l’avete visto
l’occhio al vento?”. In tutta fretta andarono ai remi e salvarono le
reti appena in tempo mentre la burrasca incalzava.
- I segreti dei palamiti. Natale era il maggiore dei fratelli
e da piccolo aveva abitato con la famiglia a Livorno. Già da allora
frequentando le cantine di pesca e la darsena aveva appreso i
segreti e la perizia della tradizione locale nell’uso dei palamiti
per cui sono appunto famosi i “palamitari” livornesi. Era una fonte
sicura per la conoscenza della pesca litoranea. Una volta lo
intervistò Piero Angela. Dei tre fratelli, Ezio è quello che più ha
fatto mestiere della sua attività di pescatore-dipendente. Il
magazzino e la barca, un gozzo di cinque metri che aveva in uso,
erano di proprietà dell’avvocato Gelati, persona che in paese è
ancora ricordata con motivi di stima. Il magazzino di pesca è sul
lato sinistro all’imbocco della scala che dalla passeggiata sale in
via dei Fiori. D’estate, nel tempo libero dalla pesca, Ezio accudiva
a un tratto di arenile di fronte al magazzino tenendo in custodia
ombrelloni e sdraio di proprietà dei bagnanti.
- Il lavoro sulla spiaggia. Per un certo periodo l’aiutò in
questo lavoro un giovane di paese, Luciano Nelli che ne serba un
affettuoso ricordo e così lo descrive: “Sempre vestito con la maglia
di lana blu e pantaloni di tela d’Africa, lunghi, blu, rimboccati.
Era anche molto bravo e richiesto a preparare banchetti a base di
pesce. Un uomo di cuore, taciturno e sereno; la gente si fermava
volentieri al magazzino per far due chiacchiere con lui. Aveva le
sue giornate di silenziosa contrarietà se qualcuno la notte gli
aveva scorso le reti che trovava manomesse per portar via i pesci
catturati...capitava...”. Anche Vittorio, il minore dei tre fratelli
aveva lavorato come pescatore-dipendente dell’avvocato Gelati; ma il
periodo che meglio può connotare il personaggio non è per lui legato
ai magazzini finora descritti, bensì a una “casetta”, di una sola
stanza, sugli scogli di Crepatura, all’incirca dov’è ora la
portineria del porto “Cala de Medici”.
- Le mangiate di pesce. Qui Vittorio teneva reti e calamenti
per andare a pesca con altri amici dilettanti, seppure molto meno
esperti di lui, per un unico rispettabilissimo scopo: far mangiate
di pesce in allegria lì, alla “casetta”. Uomo di bell’aspetto,
estroverso e gioviale, non per nulla era detto “la Pepa”. Per merito
suo la “casetta” di Crepatura vide i menù più appetibili in tavolate
abbondanti: cacciuccate soprattutto, ma anche grigliate, spaghetti
ai favolli, alle patelle, ai ricci, alla bottarga preparati da lui,
e fiaschi di vino. Sua figlia Rosella ricorda di un giorno che
avevano salpato le nasse e sulla tavola, alla casetta, una stesa di
aragoste: “Mamma mia quante!”.
- A tavola con Fosco Giachetti. “Quel giorno” aggiunge
Rosella “Era invitato anche l’attore Fosco Giachetti”, una star del
cinema degli anni ‘30 e ‘40 e ancora attore di richiamo negli anni
’60. Non meno ambite erano qui le colazioni, le merende e le
mangiate di ricci. Sì, la Pepa era un personaggio e una volta si
ritrovò fotografato in copertina sul settimanale “Epoca”. Allegro e
pronto a fare la “burletta”, aveva chiesto più volte ai parenti che
non venissero a piangere al suo funerale: “Piuttosto quel giorno
raccontatevi qualche barzelletta!”, come lui era solito fare. E
seppure simbolicamente, qualcuno ci provò; quando si dice: “meritare
un ricordo!”.
(Claudio
Castaldi per "Il Tirreno" del
25/8/2007) |