LA VITE ED IL VINO
La vite è la pianta che richiede le cure più lunghe e più
assidue. Un tempo tutto si faceva a mano e con tanta fatica:
dallo scasso per le fosse dove piantare, alla piantagione
dei vitigni, all'innesto, palatura, vangatura, potatura,
legatura...Quando finalmente le piante si ricoprivano di
larghe foglie fra le quali si intravedevano le piccole pigne
si procedeva con la prima ramatura. Si scioglieva il solfato
di rame con il “bianco”, cioè col calcio, nella conca piena
d’acqua. Poi con un ramaiolo si riempiva la macchina del
rame. Era uno strano zaino metallico, incavato, da portare
sulle spalle costruito dalla ditta "L'insuperabile" di
Angiolo e Armando Del Taglia di Signa (FI), ancora oggi in
commercio. Aveva a sinistra una leva che andava su e giù e a
destra un tubo di gomma terminante con una nappa forellata,
oggi con uno spruzzatore regolabile. Con la sinistra si
pompava e con la destra si teneva il tubo e si cospargevano
le piante. Dopo un po’ di tempo seconda ramatura e dopo la
solfatura, cioè l’aspersione dello zolfo mediante un
soffietto a mantice. Finalmente, a questo punto, non c’era
che da raccomandarle a Sant’lsidoro perché le proteggesse
dalle intemperie. Le pignine crescevano e i chicchi si
gonfiavano. I primi che cambiavano colore non ce la facevano
mai a maturare! Ai ragazzi era affidato il compito di
“parare” l’uva dai ladri, cioè guardare che non la
rubassero. Ed i ladri non mancavano, con la miseria
esistente. Provvedevano gli operai che passavano a piedi con
il tascapane del misero desinare; i barrocciai che venivano
da lontano ed avevano sete; i cacciatori che in qualche modo
volevano riempire la “cacciatora”; le donne del paese che
andavano a “far” legna (e quant'altro capitava!), ma
soprattutto quei ragazzi che non andavano né a scuola né al
lavoro ed anche per gioco cercavano merenda in campagna!
Finalmente la festosa vendemmia. Famiglie intere al lavoro,
armati di panieri, forbici, coltelli ed il barroccio carico
di tinelli in legno. Riempito il paniere, si vuotava l’uva
nel tinello e con un grosso bastone (non coi piedi) si
spremeva subito perché ce ne entrasse di più. In cima,
allora, affiorava il dolce mosto, col quale era meglio andar
piano, perché “faceva sciogliere il corpo”. Quando tutti i
tinelli erano pieni, si portavano alla fattoria dove il vino
veniva fatto. Si sceglievano le pigne più belle per farne i
soliti regalini e per attaccarle ai travicelli del granaio e
serbarli per le nostre merende; ma anche del dolce vino di
uva fragola che era una vera ghiottoneria. A novembre si
andava alla fattoria con i barili a ritirare la nostra parte
di vino: quello “buono” cioè di prima spremitura, e quello
“stretto” di seconda spremitura. Con le vinacce (raspi,
bucce e acini) aggiunte a acqua, si faceva in casa un po’ di
vinello leggero per berlo con le castagne arrostite, ma
anche ai pasti, poiché quello migliore non bastava neanche
per le sole domeniche. Restavano le vinacce che servivano da
becchime ai polli e ai piccioni; i rossi pampini toccavano
alle mucche e all'asino; in inverno i sarmenti, potati,
servivano per il fuoco e per far graticci per i fichi da
seccare. Neanche della vite quindi si spreca nulla, tanto
che il contadino così canticchia:
Benedetto Noé
che piantò quella vigna
e fece l’uomo felice e beato!
A chi non piace il vin
venga la tigna! Io son sicuro
non rimarrò intignato!
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