Vada la campagna
       Ovini al pascolo

  L'allevamento ovino ha rappresentato da sempre una importante risorsa. La cura delle greggi era sicuramente già presente in epoca etrusco-romana, nella quale furono tracciate alcune direttrici di transumanza per lo spostamento stagionale delle greggi che dai paesi dell'Appennino e della Garfagnana finivano negli spazi ad erba presenti nel nostro territorio. La bassa produzione di foraggi e la scarsa qualità dei "sodi", problemi endemici per l'agricoltura, stimolarono ulteriormente la pratica della transumanza verso le ubertose pasture maremmane che, a cavallo tra '700 e '800, assunse grande importanza. Tale situazione perdurò fino alla fine del XVIII secolo quando, grazie alle nuove leggi promulgate dal governo dei Lorena, si attuò il frazionamento delle proprietà terriere consentendo una maggiore distribuzione del patrimonio fondiario e quindi lo sviluppo dei piccoli allevamenti di pecore. La pastorizia in tutto il periodo preindustriale, infatti, veniva praticata in maniera diffusa, da parte delle comunità di montagna e di pianura, anche come forma di autoconsumo o di integrazione al reddito. Essa consentiva la disponibilità di prodotti quali il latte e la lana utili per la produzione di formaggio e affini e per la manifattura domestica di indumenti destinati ai componenti della famiglia. In questo particolare contesto socio-economico trovò spazio anche la nascita di particolari manovalanze specializzate addette alla tosatura delle bestie. Ogni primavera, gruppi di uomini si spostavano tra i vari pastori del territorio ed oltre, per liberare le pecore dal vello di lana. Un particolare impulso all'allevamento ovino, si ebbe nei primi anni del XIX secolo, grazie all'introduzione di arieti di razza merinos che portarono ad un notevole miglioramento nella qualità delle lane sempre più richieste anche dalle manifatture tessili. 
Un segnale in contro tendenza che ridusse l'afflusso di greggi forestiere, fu dato intorno al 1840 dall'ispettore granducale Karl Simon che, dissodando terreni non forestati, con coltivazioni a rotazione di patate, rape, grano e bolognino, dimostrò che era possibile riuscire a svernare un branco di pecore senza ricorrere a migrazioni. Egli introdusse montoni merinos a partire da 1841, ottenendo meticce morette, la cui lana era ricercatissima, anche per il colore, per la manifattura dei panni frateschi. L'allevamento ovino ha conosciuto notevole fortuna sino agli anni '30 del XX secolo, per poi diminuire vertiginosamente in tutta la Toscana in seguito all'esodo della montagna verificatosi nel dopoguerra.

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