Vada la bonifica
Le due pompe Riva ancora presenti all'interno del fabbricato che hanno lavorato fino alla fine degli anni '80

  Il problema principale da risolvere poteva individuarsi nella presenza di paduli compresi tra il cordone di dune litoranee e la zona morfologicamente più sollevata della pianura costiera. In questi paduli a partire dalla seconda metà del ‘700 iniziò l'opera di bonifica. Si trattò dell’escavazione di numerosi canali provvisti di “cateratte a porte mobili” per permettere lo scolo delle acque dolci in mare e impedire l’ingresso di quelle marine nei canali stessi, secondo lo schema costruttivo suggerito dall’idraulico Zendrini che aveva dato buona prova nella bonifica della Versilia. Questi tentativi migliorarono solo parzialmente la situazione ma non poterono risolvere il problema per le quote del ‘fondo dei paduli, più basse del livello del mare. Quest’opera portò inizialmente al semiprosciugamento della Piana di Vada, salvo lo Stagnolo di Ponente e lo Stagnolo di Levante, ma ben presto si riformarono ristagni di acque e si riallagò la zona della Mazzanta; fu allora chiaro che per la bonifica della zona di Vada non bastava scavare canali e munirli di qualche cateratta. I paduli in gran parte rimasero e con essi la malaria e la mancanza di popolazione. Solo successivamente la tecnica venne in aiuto, ed al sistema di canali fu affiancato il pompaggio delle acque. Una operazione che imponeva costi durevoli, ma risolveva definitivamente il problema e che è tuttora in esercizio.

Vada la bonifica