Il problema principale da risolvere poteva individuarsi nella presenza
di paduli compresi tra il cordone di dune litoranee e la zona
morfologicamente più sollevata della pianura costiera. In questi paduli
a partire dalla seconda metà del ‘700 iniziò l'opera di bonifica. Si
trattò dell’escavazione di numerosi canali provvisti di “cateratte a
porte mobili” per permettere lo scolo delle acque dolci in mare e
impedire l’ingresso di quelle marine nei canali stessi, secondo lo
schema costruttivo suggerito dall’idraulico Zendrini che aveva dato
buona prova nella bonifica della Versilia. Questi tentativi migliorarono
solo parzialmente la situazione ma non poterono risolvere il problema
per le quote del ‘fondo dei paduli, più basse del livello del mare.
Quest’opera portò inizialmente al semiprosciugamento della Piana di
Vada, salvo lo Stagnolo di Ponente e lo Stagnolo di Levante, ma ben
presto si riformarono ristagni di acque e si riallagò la zona della
Mazzanta; fu allora chiaro che per la bonifica della zona di Vada non
bastava scavare canali e munirli di qualche cateratta. I paduli in gran
parte rimasero e con essi la malaria e la mancanza di popolazione. Solo
successivamente la tecnica venne in aiuto, ed al sistema di canali fu
affiancato il pompaggio delle acque. Una operazione che imponeva costi
durevoli, ma risolveva definitivamente il problema e che è tuttora in
esercizio. |