Gabbro oggi |
Il busto del pittore macchiaiolo Silvestro Lega [Modigliana (Forlì) 1826-Firenze 1895] | |
Nei giorni 15-16-17 settembre 1995 è stato ricordato a
Gabbro il centenario della morte del grande pittore
macchiaiolo che qui trascorse gli ultimi anni della sua
vita. L’iniziativa, voluta dal Consiglio di Frazione di
Gabbro in collaborazione con l‘Amministrazione Comunale, ha trovato nel dott. Carlo Pepi, critico e
collezionista d’arte, e nel pittore Umberto Falchini due
validi organizzatori. Momenti centrali, tra tante
iniziative, sono stati la scopertura del busto di Lega,
opera dello scultore gabbrigiano Stefano Ballantini e
l’incontro-dibattito su Lega e la pittura macchiaiola cui ha
preso parte un folto pubblico.
Silvestro Lega, gli anni del Gabbro
RICORDI DI GIULIA BANDINI INTRODOTTI DA MARIO TINTI
La vita del Lega, che in base agli scritti del Signorini e del Martelli
ci era tutta nota - almeno in quei tratti che meglio importano
l'arte del Maestro e valgono ad illustrarne lo spirito - presentava
finora una lacuna oscura, corrispondente agli anni della malazzata
vecchiaia e dell'estrema miseria; anni da lui vissuti quasi tutti al
Gabbro, sulle colline livornesi, non lontano dal litorale tirreno. In quella campagna la famiglia Bandini di Livorno trascorreva gran parte
dell'anno in una villa chiamata, dal luogo dove sorgeva, Poggio Piano.
Un giorno il Lega capitò colà, condottovi dal suo giovane amico,
il pittore livornese Angiolo Tommasi, in compagnia di un altro pittore
romagnolo di recente defunto: Angelo Torchi. Il Tommasi conosceva la
famiglia Bandini e vi presentò il Lega. Dalla conoscenza casuale
doveva nascere fra il pittore di Modigliana e la signora Clementina
Bandini e le sue giovani figlie una duratura relazione.
Il paesaggio aspro e riarso, malinconicamente bello, del Gabbro aveva
colpito, in quel primo soggiorno, la immaginazione pittorica del Lega:
esso rispondeva a meraviglia alla fremente e rabida foga della sua
anima affannata e del suo concitato stile. E il vecchio artista
volgeva ormai per lui la sessantina – ritornò più volte al Gabbro
per dipingere; a più riprese vi si trattenne, prendendo in affitto
una camera presso un modestissimo e rustico oste, certo Castagni. La
conoscenza con la famiglia Bandini ebbe così occasione di stringersi
maggiormente, finchè si mutò in cara consuetudine, in vera amicizia.
Due delle signorine si erano messe a studiare pittura sotto la guida
del Lega, e ciò aveva dato occasione a lui di diventare ospite
assiduo di Poggio Piano, dove ormai lo si considerava e veniva
trattato come una specie di vecchio parente, bisbetico e stravagante
ma, in fondo, piacevole e caro. Il Lega, di quando in quando, lasciava il Gabbro recandosi a Livorno o a
Firenze, per vedere di vendere i suoi dipinti o per qualche altro
affaruccio suo; ma l'assenza era breve e spesso egli se ne ritornava
al rifugio gabbrigiano più disgustato degli uomini e più dolente che
mai.
Le seguenti note della Sig.ra Giulia Fagioli Bandini - una delle giovani
allieve del Lega, a quel tempo - descrivono, appunto, il carattere del
Maestro, le sue abitudini, le sue vicende in quel periodo della
esistenza di lui, così intenso di sofferenza e d'ispirazione. Esse
hanno il merito della schiettezza e di un tono dimesso e affettuoso,
che bene si addice alla campagnola e borghese familiarità di
quell'ambiente.
Parecchio tempo prima della morte del Lega, Diego Martelli aveva scritto
che questi "aveva più anni del primo topo". Ciò andò giù
un po' male al povero Silvestro, perché ci teneva a fare il
giovane, specialmente con le signore, e con noi, per esempio, aveva
sempre fatto un mistero della sua età. Credo che quando cominciò a
venire al Gabbro (e dev'essere stato nell'85 o nell'86) non deve
essere stato lontano dai sessant'anni. La famiglia di lui, nobile di
sentimenti patriottici, e con idee, per quei tempi, molto avanzate,
era assai in vista a Modigliana. dove si può vedere tuttora la casa
Lega con lo stemma della casata: due mani che si stringono. Qui,
dicono che suo padre ebbe da due mogli la bellezza di 32 figlioli! Mi
paiono troppi: ricordo però benissimo che il Lega ci raccontava dì
essere lui il più piccolo d'una tribù di fratelli e sorelle e di non
averli conosciuti tutti; perchè molti, maggiori a lui, morirono prima
della sua nascita o quando lui era bambino. Ci parlava di un suo
fratello ammogliato col quale aveva vissuto per un po' di tempo a
Firenze e che andava a trovare di quando in quando.
Allorché cominciò a venire al Gabbro ci vedeva già poco e la sua
salute era tutt' altro che buona. Poco si curava di questa, ma la sua
grande preoccupazione era per la vista che con suo sgomento si
accorgeva di perdere sempre più; infatti ogni anno che veniva al
Gabbro lo trovavamo peggiorato. Gradatamente, andò vedendo sempre
meno i particolari; quando lavorava, distingueva pochissimo i colori,
e qualche volta, colla modella davanti, mi domandava cosa vedevo in
una parte in ombra che lui vedeva solo come una massa, senza
distinguere alcun particolare; oppure mi chiedeva se un colore che
aveva sulla tavolozza era un bianco e un giallo, un bleu o
un verde, ecc. Mi sorprendeva che, vedendo così poco, potesse fare
cose tanto buone e lavorare con tanta passione. Negli ultimi tempi,
se cercava di condurre un po' di più un lavoro, finiva per sciuparlo
e lui, accorgendosene buttava via pennelli e tavolozza con un
"porco mondo!"la invettiva più blanda che gli veniva alla
bocca e che si permettesse di dire davanti ad una signorina. Qualche
volta ci faceva vedere dei quadri o qualche suo lavoro fatto
negli anni in cui ci vedeva bene e si meravigliava di avere potuto
tanto curare i dettagli e diceva: "Non paiono nemmeno lavori
miei", ci raccontava della sua gioventù, tutta dedita al lavoro;
delle riunioni al Caffè Michelangiolo e di quando era andato, pieno
di entusiasmo, a combattere, nel '48. Mi ricordo un episodio della
sua partenza da Modigliana che egli ci raccontava. Essendo partito
assieme al Campi, padre di mio cognato, in un barroccino,ribaltarono e
si fecero tanto male che dovettero tornare alle loro case e mettersi
in letto, seccatissimi di esser costretti a rimetter la partenza. Nei
suoi soggiorni al Gabbro lavorava molto, e spesso partiva per Livorno
con dei suoi lavori per portarli da Mors [Gustavo,
corniciaio e negoziante di colori. n.d.r.] o da
qualche suo amico. Contentandosi di prenderci poco, quel tanto forse
per pagare la pensione nella modesta casa dove viveva, li vendeva
quasi sempre; ma se qualche volta non faceva affari, tornava di un
umore impossibile e nessuno ci faceva vita.
Una volta, per esempio, ci offrì di farci un ritratto per 50 lire, e noi, conoscendo il bisogno che aveva di denaro, non
ricusavamo mai di prendere ciò che ci veniva ad offrire, ma, pure
riconoscendo i suoi meriti, non pensavamo mai che i quadri, acquistati
da lui per delle somme così meschine, potessero un giorno avere tanto
valore. Egli però qualche volta sembrava prevederlo, sicuro com'era
dì fare dell'arte realmente buona, perché per incoraggiarci a comprare
soleva dirci: "comprate, e quando sarò morto chi sa quanto ve li
pagheranno questi miei lavori!".
Tante volte si provava a lavorare e doveva smettere o
per dei dolori tremendi allo stomaco, essendo affetto da un
carcinoma, e per la vista, diventata debolissima. Sull'ultimo non ci
vedeva quasi più. Aveva sempre avuto poco appetito ed era un po'
difficile per mangiare; ma negli ultimi tempi che veniva al Gabbro non
mangiava più affatto e digeriva male quel poco che mangiava. Alla
mamma mia faceva una gran pena e trovava sempre dei pretesti per farlo
venire a pranzo o a cena da noi, e così, senza accorgersene,
aveva finito per diventare un nostro ospite giornaliero. Egli si
mostrava grato delle attenzioni che avevamo per lui, ci regalava dei
suoi bozzetti, qualche disegno, e quando aveva la fortuna di vendere
un suo lavoro, tornava da Livorno con le arselline o le
roschette o ci portava dal Gabbro, secondo le stagioni, dei
poponi o delle nocciuole. due cose che per lui erano delle
ghiottonerie, ed alle quali noi facevamo gran festa, sapendo quanto ciò
gli desse piacere.
Il Lega era, se saputo prendere, la gentilezza personificata; ma guai ad
irritarlo in qualche modo o ad urtare la sua suscettibilità facendo
nascere in lui un' antipatia. Allora diventava addirittura
intrattabile e maleducato. Non sopportava chi non capiva l'arte o chi
aveva di questa un concetto sbagliato, secondo il suo modo di
vedere. Queste persone, che egli qualificava come
"fagotti", non erano per lui degne di considerazione e
parlando con esse si faceva aggressivo e impertinente. E se si
imbatteva con qualche tipo simile in casa nostra ci trattava quasi
male, domandandoci perché ricevevamo un simile "fagotto".
Il Lega era sincero, leale, caritatevole, perché quando la sua miseria
gliela permetteva, era sempre pronto a soccorrere gli esseri più
disgraziati di lui; ma era molto brusco, rude e irritabile e, come con
tutte le persone inasprite e disgustate del mondo, non era facile
vivere con lui. Sarà, certo, per questo che si trovò così solo e
abbandonato anche dalle persone che pure gli volevano bene.
Il Lega aveva per modella al Gabbro una ragazza soprannominata "La
Scellerata” non si sa perché, essendo questa nient' affatto
cattiva; anzi col Lega era molto buona e credo che spesso abbia posato
solo "per la gloria" o per qualche regalino che egli le
faceva quando aveva la fortuna di vendere i suoi lavori. Questa
ragazza era un tipo caratteristico, tutt' altro che bella, sempre
scapigliata, con la pezzuola tirata sulla fronte e le sottane rialzate
sui fianchi. Era una delle ragazze più sciatte e meno pulite del
paese (e la pulizia non è certo una prerogativa delle gabbrigiane,)
ma ciò non impediva che ispirasse al Lega dei sentimenti che non
avevano sempre per fondamento l'arte. Ne era gelosissimo, e noi, che
ce n'eravamo accorte, ci divertivamo a fargli "prendere il
cappello" e come diceva lui, “il fungo", dicendogli che
"la Scellerata" si era fidanzata (cosa che poi successe
davvero, con gran dispetto del Lega) o che l'avevano vista in
compagnia di qualche giovanotto del paese. Lei lo prendeva in
burletta e pare non prendesse sul serio nemmeno la sua arte perché
poco tempo fa, avendola io incontrata nel mercato di Livorno, dove
sta a vendere le uova, le domandai se il Lega non le aveva mai
regalato qualche suo studio, e lei scuotendo le spalle, mi rispose:
-“Una volta mi voleva regalare un mio ritratto, ma io non lo volli.
Non mi somigliava punto. Chi l'avrebbe mai pensato che fosse così
bravo, il Lega! Quand'era vivo ci voleva del buono e del bello a far
comprare i suoi quadri, e ora tutti li cercano".
Era completamente ateo ed aveva idee repubblicane. Per questo i
gabbrigiani se la dicevano con il Lega e la sera si mettevano
volentieri a fare due chiacchiere con lui davanti alla porta della
locanda dove stava.
Era fanatico dei bambini e gli piacevano moltissimo gli animali,
sopratutto i cani. Per i fiori, poi, aveva una passione grandissima e
bisognava vedere com'era capace di entusiasmarsi quando ne vedeva dei
belli e quanti discorsi era capace di fare su d'un fiore. Li dipingeva
anche con tanto amore e quando ci teneva a modello non mancava mai di
mettercene uno in petto, e di preferenza era una rosa.
Un anno e fu quello della sua morte, ci scrisse che non sarebbe venuto
al Gabbro, essendo peggiorato della sua malattia.
Venne a trovarci a Livorno
nell'estate e ci fece un'impressione penosissima, tanto era deperito e
trasandato. Confessò a mio cognato Campi [Numa
Campi, medico,
conterraneo di Lega, n.d.r.] di
non avere che pochi soldi in tasca e di non sapere come andare avanti,
e questi propose di fargli una colletta ai Pancaldi [signorile
stabilimento balneare, n.d. r.] fra noi e alcuni amici
nostri. Il Lega, ringraziandolo gli disse che quella colletta era la
prima che fosse stata fatta per lui e sperava fosse l'ultima. Ebbe la
grazia, perchè poco dopo morì [Giulia Bandini]. Livorno, 4 Maggio
1920. [MARIO TINTI, Silvestro
Lega, Sea, Roma - Milano 1926, pp. 60-62]
(Da:
"Silvestro Lega da Bellariva al Gabbro" per gentile
concessione della signora Francesca Dini scaricabile dal sito). |
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