Sul
«golfo peschereccio» che alterna chiare spiagge e brune scogliere dalla
marina di Campolecciano all'insenatura di Caletta, una breve penisola si
allunga, come una mano che esorti il passeggero a ristare. Difficile è il
non prestare orecchio all'invito, che se non bastasse alla tentazione
l'azzurro mantello di mare lambente il fitto verde delle pinete, l'aprirsi
innocente delle strade ombrose e quiete che discendono lievi alla riva e
il nitor marino che vibra sulle case e sulle reti stese a seccare e fa il
brillio dei piombi simile a quello dei pesci imprigionati di fresco,
finiscono per indurre alla sosta.
Castiglioncello. Dove la ferrovia, per non turbare la quiete, s'è
fasciata di un monte; dove i lidi si sono rivestiti di verde sicché i
bagnanti son come ninfe e fauni che si cercano e si rincorrono
nell'occhieggiar corrusco del sole fra i tronchi.
Anche
il dirupo a Settentrione si trasforma d'estate in declivio balneare,
infiorato, fra i solchi che lascia l'onda notturna sulla sabbia, di
ombrelli azzurri e arancione. Ma incantevole il Quercetano
è d'inverno, quando i pescatori etruschi vi rammagliano le reti, o
rientrano coi gozzi dall'aver raccolto i palàmiti;
o quando il libeccio vi precipita col suo
urlìo isterico, rimbalzando dalle rocce di
Punta Righini, e sbatte sulla riva le
conchiglie dei fondali o magari i relitti di
naufraghi misteriosi che nessuna cronaca narrò mai. Allora solo qualche
donna inquieta, ravvolta nello scialle nero, apparisce tra le due muraglie
della scala angusta di pietra (che così fatta potrebbe
scendere alla càvea di un anfiteatro romano e che conduce invece
all'approdo) e scruta il mare — quell'inferno bianco — che si rovescia
sul Quercetano e lo
sommerge e s'avventa alla scarpata spruzzando di spuma le ville, sempre
imperturbabili con le loro persiane bianche che ridono all'abisso...
|