Gli ospiti di Castiglioncello  Cronache


Da il" Corriere della Sera" del  1-8-04 di Giovanni Sartori

Il mio amico Giovannone, nato un secolo prima
In privato arguto e ridanciano, detestava le macchine: idealmente viveva nel Risorgimento

 Per me Spadolini è sempre stato Giovannone. E anche ora, ricordandolo, non saprei chiamarlo diversamente. Non è che sia sempre stato corpulento. Ma Giovannone era tale per maestà, per rango, per statura (in tutti i sensi). Non ci siamo conosciuti quando eravamo a scuola, ma all' Università, quando entrammo assieme, nel 1950, come giovanissimi professori incaricati, alla Facoltà di Scienze Politiche «Cesare Alfieri» di Firenze. Il nostro sodalizio, la nostra amicizia per i quarantacinque anni (quasi) che seguirono, nacque allora. Fu un' amicizia che si cementò subito. Spadolini è noto ai più come un personaggio aulico, solenne, paludato, pomposo. Ma lo Spadolini privato, Giovannone, era un fuoco di fila di battute, era arguto, divertente, ridanciano. Anche quando «lezionava» (e lo faceva) gli ridevano gli occhi. Dagli inizi degli anni Cinquanta e per una ventina di anni Giovannone e io abbiamo animato il gruppo degli «amici della domenica». Era un gruppo, si direbbe oggi, prestigioso, di accesso difficile e ambito, con invitati che venivano da ognidove. Ci riunivamo senza meno, estate a parte, ogni domenica alle 20 in casa Spadolini in via Cavour. Mai altrove. Era una classica casa della Firenze di fine Ottocento, di fronte alla Biblioteca Marucelliana, con uno spazioso salone addetto a biblioteca e sempre rigurgitante di libri. Alle 22 andavamo poi a cena, sempre, da Sabatini, il ristorante fiorentino per antonomasia di quegli anni. Lì Boris, che era il maître, e che era un omone sempre sudatissimo, ci aspettava a gloria, e poi si occupava soltanto di noi. Eravamo quindici-venti. Tra i «fissi» ricordo Franco Borsi, Michele Castelnuovo, Dino Frescobaldi, Edi Giudice, Alberto Predieri, Renzo Ravà, Silvano Tosi. Ma non eravamo misogini. Le donne erano meno fisse, ma venivano volentieri e si divertivano, a loro dire, anche loro. Tra gli scherzi di rito della lieta brigata c' erano i «furti». Il capo-ladro era Alberto Predieri, e io gli facevo da rinforzo. All' uscita di casa per andare a cena, noi due eravamo spesso imbottiti di ninnoli napoleonici, di preziose miniature e, d' inverno, quando c' era l' aiuto dei cappotti, di rarissime copie della Nuova Antologia. Giovannone, sull' uscio, ci perquisiva sempre, era diventato bravissimo, e non gli sfuggiva niente. Così lo scherzo divenne, ogni tanto, di saltare il furto. Lui ci frugava e rifrugava e alla fine, quasi stizzito, ci gridava: a che gioco giochiamo, che tranello è questo? Ma gli scherzi continuavano anche a tavola. Una sera Silvano Tosi portò da Sabatini le bozze di un suo editoriale per la Nazione. Fu incauto. Il pezzo era su Fidel Castro, e Predieri di soppiatto cambiò «il dittatore cubano» in «il dittatore georgiano». Nessuno se ne accorse e l' editoriale uscì così. L' indomani tutti si divertirono molto, salvo il povero Tosi (che non ci sottopose mai più nessuna bozza). Nelle mie memorie quella degli amici della domenica è tra le più care. Quando Spadolini passò dalla direzione del Resto del Carlino a quella del Corriere le domeniche si diradarono. Poi nel 1971 io andai per un anno negli Stati Uniti e il gruppo non si riunì più. Finite le domeniche, restarono però gli amici. Giovannone era nato un secolo troppo tardi, era un personaggio del Risorgimento. Non guidò mai un' automobile, detestava la macchina da scrivere. Dei tempi moderni accoglieva solo il telefono, che usava a distesa. Mi telefonava quasi ogni giorno facendo finta di chiedermi consigli; ma lo faceva per civetteria, per lusingarmi. Lui di consigli non sentiva alcun bisogno. Aveva anche una memoria e una capacità di lavoro strepitose. Riusciva tutt' insieme a telefonare, scrivere un pezzo, e seguire un dibattito. In televisione lo abbiamo spesso visto così, «trifacente», quando presiedeva una seduta del Senato. Al governo non gli dispiacque, ovviamente, di essere presidente del Consiglio. Ma il suo vero amore fu il ministero della Difesa. Lì ritrovava l' Italia rispettosa, seria, disciplinata, umbertina, nella quale viveva come storico. Già, lo storico. Che è lo Spadolini collega di Facoltà. Gli piaceva insegnare, e aveva la parola fluente come la sua penna. Anche quando si dovette mettere in congedo, sentiva fortemente la sua appartenenza universitaria e teneva un occhiuto controllo sui consigli di Facoltà. Negli anni della contestazione universitaria io ero, per mia sfortuna, preside della mia Facoltà. Per me furono anni sgradevoli e difficili. I colleghi mi aiutavano dandomi mano libera. Il solo che mi dette filo da torcere fu proprio lui, l' amico Giovannone. Nella difesa e conquista di cattedre per le sue materie, lui non sentiva ragione. Benedetto Croce aveva stabilito che la filosofia era storiografia. Dal che si ricavava che il vero sapere, il sapere filosofico, si traduceva nel sapere storico. Spadolini era in questo un crociano ortodosso. Tollerava me (che insegnavo Scienza politica) per amicizia; ma nel fondo del cuore considerava gli economisti, i giuristi, i sociologi cultori di pseudo-scienze. Nel corso del mio mandato riuscii a rinforzare il corpo docente raddoppiandolo (più o meno). Ma per Spadolini avrei dovuto imbottire la facoltà di storici. Arrivammo anche a qualche scintilla. Ma cosa sono tre anni (la durata della mia presidenza) a fronte di quarantacinque? Solo un breve e subito dimenticato incidente di percorso. Nel 1994 io ero oramai insediato da tempo alla Columbia University di New York, e la distanza aveva rallentato i nostri rapporti. In quell' anno Spadolini andò in Cina, e il viaggio di ritorno fu disastroso. Disastroso anche per la sua salute. Ripresi così l' abitudine di chiamarlo ogni domenica. Nella sua penultima settimana di vita, in sul finire di luglio, sentii Giovannone vispo e contento. Sai, mi disse, sto molto meglio, forse riesco ad andare a fare i bagni a Castiglioncello. Tra me e me sorrisi, perché oramai non nuotava più. In mare galleggiava; ma galleggiava da par suo, troneggiando ben al di sopra della linea di galleggiamento dei comuni mortali. Lo richiamai la domenica dopo, e sentii un filo di voce che non era più la sua. Mi disse: sai, sono peggiorato, faccio anche fatica a parlare. Io non capii che stava morendo, ma mi spaventai molto. Cosimo Ceccuti, che è stato al suo fianco fino all' ultimo, mi ha poi raccontato che la mia era stata l' ultima telefonata che aveva preso. Ora Giovannone riposa a San Miniato a Monte, sopra Firenze, sotto una bellissima lastra di marmo di Carrara che dice soltanto: «Giovanni Spadolini / Un Italiano». Io lo vado a trovare ogni anno lì. L' amico Giovannone. Giovanni Sartori

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