Gli ospiti di Castiglioncello  Cronache


Da "La Stampa" del 3-09-1991 di Pierluigi Battista

SUSO CECCHI D'AMICO, i miei pensionanti
 

Suso Cecchi d'Amico era certa che il destino avrebbe regalato un luminoso futuro a quel giovanotto colto e «illimitatamente fiducioso nei suoi mezzi» conosciuto sugli scogli di Castiglioncello. E un giorno («se non ricordo male, era l'estate del '50») decise di tradurre quel convincimento in una impegnativa scommessa: «Stai a vedere che quel ragazzo così studioso e determinato prima o poi diventa Presidente della Repubblica». Quel ragazzo che «sembrava l'incarnazione della felicità» si chiamava Giovanni Spadolini: «Manca soltanto l'ultimo gradino e poi la scommessa è vinta», finalmente dice oggi lei, fiera della sua lungimiranza. Ma il pensiero dei tanti «amici di Castiglioncello» che non ci sono più finisce impercettibilmente con il disegnare un'ombra di malinconia sul volto della sceneggiatrice. Lì, su quel tratto di costa tirrenica a due passi da Livorno, sono stati concepiti e scritti alcuni dei più bei film del dopoguerra: da Ladri di biciclette a Rocco e i suoi fratelli, da Bellissima a La sfida. E Suso Cecchi d'Amico non riesce a pensare senza rimpianto alle grandi stanze di Villa Bologna, la villa ottocentesca che lei ha preso in affitto per oltre trent'anni, frequentate stagione dopo stagione da Luchino Visconti, Nino Rota, Ennio Flaiano: il gruppo che ancora oggi chiama con nostalgia struggente «i miei pensionanti». A Castiglioncello è arrivata la prima volta, a bordo di un trenino, verso la fine degli Anni Venti. Per la verità il padre, il grande critico e scrittore Emilio Cecchi, aveva dapprima scelto Quercianella, pochi chilometri più in là. Ma a Castiglioncello, occupando un'intera pensione, si era installata «la tribù dei d'Amico», quello sciame di fratelli e cugini di primo e secondo grado che faceva capo all'indiscusso «patriarca» Silvio d'Amico, il critico e storico del teatro che proprio allora stava limando le ultime pagine di un libro che sarebbe diventato un classico della saggistica teatrale: Il tramonto del grande attore. Tra loro c'era Fedele, affettuosamente detto Lele, «studente così intelligente che era il primo della classe anche senza studiare un granché». Qualche anno dopo il musicologo Fedele d'Amico sposerà Suso. Ma allora, a cavallo tra gli Anni Venti e gli Anni Trenta, «il primo della classe» si limitava a dare ripetizioni private a quella giovinetta bellissima, ma con poca voglia di studiare. Fatto sta che ben presto i Cecchi si trasferirono a Castiglioncello. «Papà aveva pochissima dimestichezza con il mare», e spesso doveva tornare a Roma per lavoro. Ma a far da tutore rimaneva in casa Cecchi nientemeno che lo storico dell'arte Roberto Longhi con sua moglie, la scrittrice Lucia Lopresti, in arte Anna Banti. «Non capisco come sia nata la leggenda di un Longhi irascibile e permaloso»: Suso Cecchi d'Amico fruga nella memoria per restituire di Longhi un'immagine tutt'affatto diversa. «Ad avere un carattere spigoloso era piuttosto lei, la Banti. Ma Longhi no. Era socievole, spiritoso. E io andavo pazza per quell'uomo importante che con didattica pazienza mi insegnava persino a giocare a poker». Era destino che nel piccolo paradiso di Castiglioncello la giovane Suso godesse dell'insegnamento impartito da maestri illustri. Se Longhi le aveva trasmesso i primi rudimenti del gioco d'azzardo, a educarla al gusto della recitazione si impegnava addirittura Luigi Pirandello, ospite fisso di casa d'Amico. Insieme con Massimo Bontempelli e Corrado Pavolini, Pirandello e Silvio d'Amico avevano l'abitudine di intrattenere il gruppo di amici con divertenti spettacolini messi in scena all'Ara del Littorio in pineta, interpreti attori improvvisati ma volonterosi. Le visite di Ungaretti «Un giorno, non ricordo proprio in quale dei tanti spettacoli, mi dissero che contavano su di me, perché avevano bisogno di una bella ragazzetta che doveva declamare due o tre battute. Risultato: non ho mai più visto essere umano ridere con tanto gusto come quella volta Luigi Pirandello. Era letteralmente piegato in due per colpa, o per merito, di un'irrefrenabile risata». Per un po' le passò ogni voglia di recitare. Ciò che non le impedì di pregustare tutti gli anni con rinnovata impazienza la partenza per Castiglioncello. Neanche la guerra fu in grado di interrompere la lunga serie di villeggiature. Certo, villeggiature vissute con apprensione e paura. Ma nella memoria di Suso Cecchi d'Amico nessuna immagine della paura al tempo della guerra riesce a eguagliare per intensità l'espressione di autentico panico stampato sui volti di Goffredo Petrassi e di Orfeo Tamburi quando, nell'estate del 1942, i due artisti scambiarono un simpatico ed innocuo delfino per un terrificante squalo: «Non dimenticherò mai quelle facce pallide e irrigidite dall'enorme spavento. Non c'è guerra che tenga: la psicosi dello squalo sembra indistruttibile». Viene il dopoguerra e Suso Cecchi d'Amico prende in affitto la Villa Bologna, «incredibilmente spaziosa ma completamente in rovina», che ospiterà a lungo, gli amici di Castiglioncello. Ospiti di passaggio, come Giuseppe Ungaretti, che prende l'abitudine di trascorrere ogni anno qualche giorno in quella casa prima di recarsi a Forte dei Marmi per il premio Viareggio. «Peccato, avevo una vecchia fotografia che ritraeva un Ungaretti allegrissimo, seduto alla Baracchina, il ristorante a due passi da Villa Bologna dove era nostro uso - i prezzi di allora lo consentivano - invitare gli ospiti. Ma vai a ritrovarla. Un giorno o l'altro dovrò pur mettere un po' d'ordine tra le mie fotografie». Ricorda, Suso Cecchi d'Amico, che a quel tempo, tra gli scogli di Castiglioncello, conobbe «il precoce Spadolini» e Indro Montanelli. Dice «tra gli scogli» con deliberata reiterazione per sottolineare l'originalità di Castiglioncello, differente da Forte dei Marmi, «dove si fa mare di spiaggia», e da Capri, «dove c'è la piazzetta». A Castiglioncello, invece, «si fa mare di scoglio e non c'è nessuna piazzetta». Il che sta a significare un diverso tipo di socialità, abitudini, comportamenti, orari e letture di natura tutta speciale. «La vita è nelle case», ricorda con orgoglio l'autrice di tante sceneggiature. E nella sua casa, in compagnia di Visconti, Flaiano e Nino Rota, ha trascorso giornate che non sapevano cosa volesse dire la differenza tra «tempo libero» e «tempo di lavoro». Come quelle dell'estate del 1959, quando a Villa Bologna si lavorò alla sceneggiatura di Rocco e i suoi fratelli. Con Visconti, Flaiano e Vasco Pratolini si trovò subito un'intesa ferrea: sveglia di primo mattino, lavoro ininterrotto fino alle 13 e 30, un tuffo «dallo scoglio», breve riposo con pennichella o lettura a scelta, e poi lunghe passeggiate: o nella macchia di Castiglioncello, oppure a spasso per i negozi di Livorno. Era Visconti a spingere per l'opzione Livorno. Voleva andare a prendere le stoffe per le sue camicie oppure girare per negozi di antiquari, da dove usciva, regolarmente, con qualche acquisto sotto il braccio. Luchino compra di tutto «Comprava di tutto con singolare voracità, e noi ci chiedevamo dove diavolo riuscisse a stipare tutta quella roba. Ma capivamo che quella di Luchino era un'abitudine contro cui era inutile combattere. Ricordo però che nel nostro lessico famigliare fu coniata l'espressione "se ne sentiva il bisogno". La usavamo ogni volta che Luchino comprava qualcosa di cui non si sentiva la necessità. Cioè quasi sempre. Adesso quel ritornello, "se ne sentiva il bisogno", viene usato anche dalle mie nipoti. E a me fa piacere, perché mi ricorda Luchino». «Mi viene la nausea, quando leggo le tante sciocchezze che si scrivono sul conto di Luchino». Rievocando particolari di Visconti, Suso Cecchi d'Amico sente che è come se un'ingiustizia fosse stata commessa ai danni del regista. «Lo hanno descritto come uno snob. Che sciocchezza. Lui era abituato alle grandi eleganze. Ma quando veniva a Villa Bologna, tutta malandata com'era, era come se entrasse in una villa reale. Ancor oggi mi stupisce e mi commuove la sua capacità d'adattarsi: per me era l'ospite, come dire, più comodo che potessi sognare». Certo, in quella casa «si poteva avere il lusso di ascoltare la musica di Nino Rota che quando meno te lo aspettavi si metteva a suonare il pianoforte: un autentico incanto». E si godeva dell'ingegno sulfureo di Ennio Flaiano: una miniera inesauribile di trovate e di lampi di intelligenza incastonata in un carattere che Suso Cecchi d'Amico decide di definire, dopo qualche esitazione, «un po' fegatoso»: «Non dimenticherò mai quella volta che Ennio, uscito da un cinema di Livorno dove avevano dato un bruttissimo film, stette a letto per tre giorni di fila in preda a un terribile mal di fegato». Adesso i «tre pensionanti» non ci sono più. Non c'è più Bice Valori, che con Paolo Panelli trascorreva le sue estati a Castiglioncello e che Suso Cecchi d'Amico ricorda con infinito affetto. Molti frequentatori del «mare di scoglio» sono approdati altrove: Zeffirelli, Monicelli, la coppia Age e Scarpelli. E non c'è più Villa Bologna, che il proprietario ha voluto vendere e che Suso Cecchi d'Amico non ha potuto comprare. Non c'è più nemmeno «Lele». Adesso Suso, quando trascorre le sue villeggiature a Castiglioncello, vive in una casa più piccola, con figli e nipoti. Ci va sempre molto volentieri, ma per periodi più brevi. Di quelle estati a Castiglioncello che duravano quattro mesi, dall'inizio di giugno alla fine di settembre, restano molti ricordi. E «uno stupendo pattino con seggiolino scorrevole, marrone e lucido»: era di «Lele» e oggi sta ancora lì, smagliante, parcheggiato nel giardino di casa.

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