Gli ospiti di Castiglioncello Cronache |
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Da "Il Corriere della Sera" del 12-08-1953 | |
UN PAESE
INVENTATO DAI PITTORI |
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A Livorno
nella bella villa Fabbricotti è aperta una
interessante. benché incompleta raccolta di
quadri e di disegni Giovanni Fattori, il
grande pittore toscano che verrà sempre più
apprezzato col trascorrere del tempo.
Abbiamo una vaga idea, dal tono degli
opuscoli illustrativi che a questa Mostra si
sia valuto conferire un certo significato
politico, presentandoci un Fattori
«sociale»,
un artista amaro e ribelle, interprete e
paladino della povera gente delle campagne e
del mare, la cui vita egli ama rappresentare
in tutta la sua desolata crudezza. Che un
senso drammatico pervada tutta l'arte del
Fattori, compreso i quadri dl battaglie così
privi dell'eroico convenzionale è certo: ma
quel sottinteso pessimismo non cè, oppure è
ampiamente compensato dall'impressione di
forza, di sanità e anche di serenità che
emana spesso da quelle figure e da quei
paesaggi, non sempre sconvolti da libecciate
materiali o spirituali. Il Fattori, oltre al contenuto universale che si trova nella sua, come nell'arte di tutti i grandi, ha cercato materia di ispirazione nell'ambiente locale di questa parte della Toscana anche oggi tanto diversa da quella dell'interno, ma ai suoi tempi assai più ricca di potenti contrasti, prima che la bonifica, la ferrovia, le strade asfaltate e la nascita di centri balneari ne attenuassero il rude aspetto ereditato da secoli. Basti pensare alla trasformazione avvenuta lungo la spiaggia che dalle balze dl Montenero si stende giù fino a Vada, a Cecina ed oltre, per congiungersi nel Grossetano, alla vera e propria Maremma. I ricordi dell'arte e della vita di Giovanni Fattori e dei suoi amici «macchiaioli» sono inseparabili da quelli della bassa costa livornese e specialmente di Castiglioncello. Sono pagine di storia artistica e civile deIl'Italia del Risorgimento che mette conto rievocare: titoli di nobiltà di luoghi oggi dedicati al riposo e al passatempo, ma allora rifugio di nobili spiriti in cerca d'ispirazione. Gente che aveva cospirato e fatto alle schioppettate con gli austriaci a fianco dei facchini di porto livornesi; o aveva combattuto con Garibaldi sul Gianicolo o in Lombardia; artisti ansiosi soprattutto di formule nuove e libere; "academici di nulla academia" avrebbe detto Giordano Bruno. Il movimento romantico verista che prese nome dai macchiaioli fiorentini nato nel famoso Caffè Michelangiolo in vin Larga, era espressione d'una tendenza generale europea e coincise senza esserne servo, con quello degli impressionisti francesi. La spontaneità dal fenomeno è confermata dal fatto che, nata negli studi della città, la "macchia" visse e prosperò per quanto riguarda i migliori di questi artisti, in campagne solitarie e selvatiche o nelle località di mare più aspre e deserte. Castiglioncello ne fu per molti anni il centro preferito. Non ci poteva essere nulla di meno parigino. Sterminate scogliere ed un retroterra sassoso, coperto di folta sterpaglia con qualche ciuffo di lentischi e di lecci scontorti dal vento; pini marittimi isolati qua e là. Non esisteva ancora la pineta regolare, alta e ben tenuta che rende oggi così amene la penisoletta di Castiglioncello e le prossime colline; non v'erano alberghi ne ville nè facili comunicazioni. Si andava da un luogo all'altro a piedi o sul carro dei buoi; era ricco chi possedeva un calessino. Quando il giovane Giuseppe Abbati, forse il più geniale dei macchiaioli, morsicato da un cane idrofobo, si senti condannato a morte atroce, dopo aver prima tentato di uccidersi con una pistola trovata in casa del medico e rassegnatosi poi a lasciarsi portare a Firenze per un disperato tentativo di cura, dovette fare tutto il viaggio in carrozza (quindici ore buone) accompagnato dalla coraggiosa moglie di Diego Martelli, l'artista mecenate che aveva la villa a Castiglioncello proprio dove oggi si erge il finto castello medievale con merli e feritoie. Di Diego Martelli si è parlato e scritto molto,recentemente quando è stato pubblicato il suo epistolario. Era un pezzo di uomo barbuto, acutissimo ingegno,critico che anticipava i tempi;nella sua villa non solo capitò il Fattori, il Signorini, il Sernesi, il Cannicci, il romagnolo Silvestro Lega, il romano Nino Costa e tanti altri, ma fu loro largo di consigli, di appoggi ed anche di amichevoli rimbrotti intercalati a grosse bestemmie toscane quando li trovava disanimati di fronte alle difficoltà economiche ed all'incomprensione ostinata della loro arte. Il Martelli aveva avuto per eredità interi chilometri di costa sotto Rosignano; erano terreni che non valevano nulla a quei tempi: chi poteva prevedere che diventassero preziosi? Allora si usava fare i bagni negli stabilimenti chiusi; le signore scendevano in acqua con voluminosi costumi, calze e guanti; le spiagge sabbiose erano lasciate ai bambini delle colonie curative. Uno dei più deliziosi bozzetti del Fattori non ritrae la rotonda dello stabilimento Palmieri a Livorno frequentato dalla high life italiana e straniera, dove vedi le dame eleganti in cappellino, scialletto di cascemir e amplissime gonne a sboffo, che non si capisce come il vento di mare non le portasse via a guisa di palloni aerostatici. G'è ancora qualche vecchio decrepito che ricorda Castiglioncello senza ville, nè cabine, nè pensioni, nè botteghe, nè cinema. Dove ora c'è lo stabilimento principale esisteva solo il capanno di un pescatore; poi cominciarono a venire per i bagni gli alunni del collegio degli Scolopi di Firenze; infine pittori e scrittori prendendovi stanza crearono il primo nucleo del paese e gli diedero fama. Tutti sanno che uno dei primi frequentatori fu Renato Fucini che vi costruì una modesta villa la «Cuccetta», con un enorme parafulmini che più che proteggerla pareva infilzarla e vi fondò l'Associazione dei pescatori sfortunati, naturalmente i più numerosi. Ma Castiglioncello rimase sempre un luogo appartato e poco frequentato finché la ferrovia Pisa-Roma che prima passava da Collesalvetti, non fu deviata lungo la costa marina. Non mancavano i devoti della solitudine, che gridarono alla profanazione; fra questi Giovanni Marradi, il quale previde la distruzione della pineta e la invasione di folle chiassose. Addio bel nido nostro! Ho veduto oggi la civiltà che giunge in sua barbarie; ho visto le pinete centenarie già violate e già spaccati i poggi... Ho visto il grigio delle rotte selci dove la macchia verdeggiava intatta; e le verghe di ferro in lunga tratta correre i campi ove fiorian le felci. Tutti questi disastri però non sono accaduti e del resto non c'era da pensare che Castiglioncello restasse eternamente isolata da un mondo che aveva bisogno di utilizzare ogni metro quadro di terreno. Anche la romantica e malarica Maremma è sparita, e dove il Fattori dipingeva «le Bufaline» sono ora campi coltivati con irrigazione a spruzzo e trattori meccanici. Sul nastro della strada nazionale corrono le motorette con la ragazza sul sellino abbracciata al guidatore, che è pure uno spettacolo pittoresco e cordiale, anche se invano cercheresti in quella svelta e proterva gioventù la dignità maestosa delle povere contadine e delle boscaiole che i pittori di ottant'anni fa ritraevano nei loro paesaggi. Tutto è cambiato e certi fenomeni, si sa, sono irreversibili; non si può immaginare di tornare alla semplicità della vita primitiva senza catastrofi che nessuno sul serio desidera. Tuttavia anche nei suoi nuovi aspetti Castiglioncello conserva un equilibrio, una misura particolari; la sua mondanità ha limiti quantitativi e qualitativi precisi e non è credibile che possano essere violati; in questa limitazione trova forse la ragione della sua speciale attrattiva. Tuttavia per la regola generale che in Italia non si trova un palmo di terreno che non abbia un'antica istoria, anche qui esistono tracce di vita che risalgono al tempo degli Etruschi, quando la lucumonia di Volterra si spingeva fino al torrente Fine, dove prendeva contattto con le popolazioni dei Liguri che scendevano dalla Versilia o dalla Lunigiana. C'è anche a Castiglioncello un museo etrusco piccolo come un balocco con urne, vasi, anfore, lacrimari, stele, tutto a scartamento ridotto, ma non senza valore archeologico;curiosa e rara più di ogni altro oggetto l'ara rotonda dedicata alla dea Rubigo (o al dio Rubigus secondo altri; chi ne saprà mai il sesso?) su cui si sacrificavano cagne rosse per scongiurare la ruggine del grano; questi italiani hanno sempre dovuto lottare per salvare i loro faticosi raccolti. Decaduta Volterra scompare la potenza etrusca, svanito l'impero romano, questo porticciolo fu abbandonato e la boscaglia mediterranea coperse tutto, fornendo solo un territorio di caccia ai feudatari pisani e più tardi ai Medici. Al duca Cosimo si deve la costruzione della torre di vedettta sulla cima del promontorio, che agli occhi dei pochi paesani parve un minuscolo castello e diede il nome al luogo. Perché Castiglioncello è il diminutivo di un diminutivo; Castiglione (in francese Chatillon) volendo significare appunto piccolo castello. La grazia dell'appellativo in contrasto con la nativa rudezza della circostante natura doveva dare a questo luogo un carattere non comune, che nè l'arte nè il turismo nè la mondanità balneare hanno finora potuto cambiare. Lector |
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