Castelnuovo  ieri
1939 - Vista della Fattoria di castello a Castelnuovo ieri

                  LA FATTORIA DI CASTELLO
Per la mancanza di documentazione cartografica coeva non è possibile determinare quale sia stata la configurazione originaria d'impianto della Fattoria, ma è in ogni modo possibile acquisirne un'idea al 1513, attraverso la descrizione fiscale relativa al campione dei beni di Battista da Sancasciano: "una chasa a uso di palazzo nomata il Palazzo della Misericordia la quale si reserva per uso et abitazione de Governatori et Procuratori di decta Casa di Misericordia quando vanno in decto chastello, con sala, camera terrestre ad uso di stalla et camera terrestre doppo decta stalla.  E' evidente che in questo periodo, l'edificio svolgeva solo il ruolo di rappresentanza, atto ad accogliere le autorità dell'ente (Governatori) quando queste venivano annualmente a verificare, usando una terminologia moderna, "l'andamento aziendale". 
Il palazzo denominato nel 1513 come Palazzo della Misericordia, in occasione dell'allivellazione voluta dal Granduca Pietro Leopoldo nel 1784, è così descritto nella notificazione allegata alla "Memoria relativa all’ allivellazione o vendita dei beni della Tenuta di Castelnuovo ordinata dal Granduca Leopoldo" (14 ottobre 1784). Complessivamente le stanze dell'immobile erano diciotto: esse comprendevano l'abitazione del fattore, del sottofattore, gli alloggi delle guardie campestri e alcuni ambienti di "rappresentanza".  Quindi, in base a quanto sopra, è proprio il "Palazzo", l'edificio indicato come "casa da padrone" distaccato dal contesto della fattoria, che la Pia Casa richiede al Granduca di non allivellare. La richiesta sembrerebbe parzialmente accolta: infatti, dall'analisi dell'Estimo del 1795, risulta che l'edificio è stato comunque allivellato, ma l'allivellatario è proprio il fattore della Misericordia, Pietro Pardini, che lo utilizza "come sua abitazione".  In circa due secoli, l'edificio si è più che raddoppiato passando dalle 3-4 stanze del 1513 alle nove stanze più accessori del 1795: risulta evidente che ciò è avvenuto in ottemperanza alle esigenze logistiche ed economiche che la fattoria andava costantemente modificando con l'aumento della produzione. Infatti, nell'edificio confluivano tutti i raccolti della tenuta che i contadini conducevano con i barrocci alla fattoria di Castello dove erano immagazzinati: è immaginabile la confusione che doveva regnare in certi periodi dell'anno. Pertanto era necessario ampliare il numero dei vani destinati all’ immagazzinaggio e al servizio delle attività lavorative. Nell'estimo del 1795, a "Bernardi Giulio, canonico Andrea, auditore Ranieri e Gaetano d'Anton Baldassarre, Nobili pisani" è riportato il possesso di una "seconda" fattoria. Il complesso è l'attuale gruppo di edifici collocati alla sinistra dell'arco d'ingresso alla corte del castello, che in tempi diversi assolse al ruolo di "rappresentanza" della Pia Casa e residenza dei Governatori. Vi si aveva accesso solo dalla via interna al castello, l'attuale strada carrabile ad est non esisteva ancora; solo una scalinata aperta sulla Strada che va al Castello immetteva nei campi e conduceva alle cantine. Il palazzo era di dimensioni più ridotte rispetto all'attuale conformazione, infatti, alcuni locali con i n° dal 15 al 19, che oggi fanno parte del fabbricato, erano sei case di proprietà di famiglie che lavoravano nel castello stesso: Angiol Maria Filippi, Sebastiano, Francesco, Jacopo Faccenda, Giovanni Giubbilini, Giuseppe Taddei ecc. L'edificio si sviluppava su tre livelli. Il piano terra era adibito a funzioni prettamente di servizio alla fattoria, quali stalle, magazzini, depositi ecc., invece ai piani superiori si trovava l'abitazione vera e propria (molto probabilmente l'alloggio del fattore), articolata in salotti, scrittoi, molte stanze da letto e al piano primo oltre ad ulteriori camere e salotti, vi era collocata la cucina. L’"Inventario dei mobili ed altro della Fattoria di Castello fatto questo dì 16 settembre 1785 " permette di calarsi virtualmente in quell'atmosfera che vi si respirava alla fine del '700. Sale arredate con dipinti a soggetto floreali e nature morte inserite in ricche cornici dorate o verdi, tappeti ovunque, e poi: candelabri in ottone, lucerne, attaccapanni e una serie infinita di oggettistica che andava a riempire, tavoli, tavolini, credenze. Al primo piano, in una sala da pranzo, si elencavano cioccolatiere in rame, tazze da tè e da caffè, bottiglie e bicchieri. Da questa semplice descrizione, è percettibile quale doveva essere la vita che pulsava nel castello: "lavoratori, mezzajoli. Guardie e stipendiati" si aggiravano all'interno dello stesso per tutto l'arco della giornata. Era una sorta di borgo nel borgo, indipendente ed autonomo, apparentemente chiuso al resto del territorio. (Da "Quella Fattoria di castello" di Stefano Rossi, Gianluca Biscini e Laura Melosi, scaricabile dal sito)

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