LA FATTORIA DI
CASTELLO
Per la mancanza di documentazione cartografica coeva non è possibile
determinare quale sia stata la configurazione originaria d'impianto della
Fattoria, ma è in ogni modo possibile acquisirne un'idea al 1513,
attraverso la descrizione fiscale relativa al campione dei beni di
Battista da Sancasciano: "una chasa a uso di palazzo nomata il Palazzo
della Misericordia la quale si reserva per uso et abitazione de
Governatori et Procuratori di decta Casa di Misericordia quando vanno in
decto chastello, con sala, camera terrestre ad uso di stalla et camera
terrestre doppo decta stalla. E' evidente che in questo periodo,
l'edificio svolgeva solo il ruolo di rappresentanza, atto ad accogliere le
autorità dell'ente (Governatori) quando queste venivano annualmente a
verificare, usando una terminologia moderna, "l'andamento aziendale".
Il palazzo denominato nel 1513 come Palazzo della
Misericordia, in occasione dell'allivellazione voluta dal Granduca Pietro
Leopoldo nel 1784, è così descritto nella notificazione allegata alla
"Memoria relativa all’ allivellazione o vendita dei beni della Tenuta di
Castelnuovo ordinata dal Granduca Leopoldo" (14 ottobre 1784).
Complessivamente le
stanze dell'immobile erano diciotto: esse comprendevano l'abitazione del
fattore, del sottofattore, gli alloggi delle guardie campestri e alcuni
ambienti di "rappresentanza". Quindi, in base a quanto
sopra, è proprio il "Palazzo", l'edificio indicato come "casa da padrone"
distaccato dal contesto della fattoria, che la Pia Casa richiede al
Granduca di non allivellare. La richiesta sembrerebbe parzialmente
accolta: infatti, dall'analisi dell'Estimo del 1795, risulta che l'edificio
è stato comunque allivellato, ma l'allivellatario è proprio il fattore
della Misericordia, Pietro Pardini, che lo utilizza "come sua abitazione".
In circa due secoli, l'edificio si è più che raddoppiato passando dalle
3-4 stanze del 1513 alle nove stanze più accessori del 1795: risulta
evidente che ciò è avvenuto in ottemperanza alle esigenze logistiche ed
economiche che la fattoria andava costantemente modificando con l'aumento
della produzione. Infatti, nell'edificio confluivano tutti i raccolti
della tenuta che i contadini conducevano con i barrocci alla fattoria di
Castello dove erano immagazzinati: è immaginabile la confusione che doveva
regnare in certi periodi dell'anno. Pertanto era necessario ampliare il
numero dei vani destinati all’ immagazzinaggio e al servizio delle
attività lavorative. Nell'estimo del 1795, a "Bernardi Giulio, canonico
Andrea, auditore Ranieri e Gaetano d'Anton Baldassarre, Nobili pisani"
è riportato il possesso di una "seconda" fattoria. Il complesso è
l'attuale gruppo di edifici collocati alla sinistra dell'arco d'ingresso
alla corte del castello, che in tempi diversi assolse al ruolo di
"rappresentanza" della Pia Casa e residenza dei Governatori. Vi
si
aveva accesso solo dalla via interna al castello, l'attuale strada
carrabile ad est non esisteva ancora; solo una scalinata aperta sulla
Strada che va al Castello immetteva nei campi e conduceva alle
cantine. Il palazzo era di dimensioni più ridotte rispetto all'attuale
conformazione, infatti, alcuni locali con i n° dal 15 al 19, che oggi fanno parte del fabbricato,
erano sei case di proprietà di famiglie che lavoravano nel castello
stesso: Angiol Maria Filippi, Sebastiano, Francesco, Jacopo Faccenda,
Giovanni Giubbilini, Giuseppe Taddei ecc. L'edificio si sviluppava su tre
livelli. Il piano terra era adibito a funzioni prettamente di servizio
alla fattoria, quali stalle, magazzini, depositi ecc., invece ai piani
superiori si trovava l'abitazione vera e propria (molto probabilmente
l'alloggio del fattore), articolata in salotti, scrittoi, molte stanze da
letto e al piano primo oltre ad ulteriori camere e salotti, vi era
collocata la cucina. L’"Inventario
dei mobili ed altro della Fattoria di Castello fatto questo dì 16
settembre 1785 " permette di calarsi virtualmente in quell'atmosfera
che vi si respirava alla fine del '700. Sale arredate con dipinti a
soggetto floreali e nature morte inserite in ricche cornici dorate o
verdi, tappeti ovunque, e poi: candelabri in ottone, lucerne, attaccapanni
e una serie infinita di oggettistica che andava a riempire, tavoli,
tavolini, credenze. Al primo piano, in una sala da pranzo, si elencavano
cioccolatiere in rame, tazze da tè e da caffè, bottiglie e bicchieri.
Da questa semplice
descrizione, è percettibile quale doveva essere la vita che pulsava nel
castello: "lavoratori, mezzajoli. Guardie e stipendiati" si
aggiravano all'interno dello stesso per tutto l'arco della giornata. Era
una sorta di borgo nel borgo, indipendente ed autonomo, apparentemente
chiuso al resto del territorio.
(Da "Quella Fattoria di castello" di
Stefano Rossi, Gianluca Biscini e Laura
Melosi, scaricabile dal sito) |